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La riflessione sulla sua esperienza nella Sicilia nord-occidentale ha portato Dolci a ridefinire il concetto di potere. La situazione dei poveri di Trappeto era di assoluta impotenza; il lavoro con loro consisteva dunque, in primo luogo, nell’empowerment, nel guidarli a scoprire il proprio potere personale e collettivo. Il potere dunque non è negativo come vuole la percezione comune. Esso è possibilità, e senza possibilità non c’è vita. Letteralmente: mangiare è già una forma di potere dalla quale alcuni possono essere esclusi.
Il potere è legato alla nascita stessa della società. Ci associamo per aumentare, insieme, le nostre possibilità, ossia per avere più potere. Accade però che in molte società, compresa la nostra, l’equilibrio su cui si basa il potere comunitario venga infranto. Le possibilità non sono più distribuite in modo equo. Alcuni hanno molte più possibilità di altri. Non solo: il proliferare delle possibilità degli altri avviene al costo del diminuire delle possibilità degli altri. Nasce così il dominio, una patologia del potere.
A questa contrapposizione è legata, in Dolci, quella tra comunicare e trasmettere. Comunicare vuol dire mettere in comune, consiste in uno scambio della parola tra persone che sono in una relazione di reciprocità. Quando questa reciprocità si infrange, la comunicazione degenera in trasmissione: il messaggio allora va dall’alto al basso, senza che si vi sia più alcuno scambio fecondo.
Scrive Dolci in Dal trasmettere al comunicare:
Occorre il coraggio, non solo intellettuale, di chiamare comunicazione soltanto il sistema in cui ogni partecipante coinforma e corrisponde. Nel sistema ora dominante, chi sceglie? chi trasmette? chi informa?1
Per Dolci la scuola è affetta appunto da questa patologia comunicativa. La natura asimmetrica della relazione tra docente e studente fa sì che la comunicazione autentica diventi improbabile in un’aula scolastica, che siano impacciati l’ascolto e lo scambio. La scuola, in sostanza, è funzionale al dominio, esattamente come i mass-media, che per Dolci vanno considerati non mezzi di comunicazione di massa, ma messi di trasmissione di massa. Sia perché non consentono alcuno scambio, sia perché creano la massa, mentre il comunicare è sempre comunitario.
D. Dolci, Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Casale Monferrato 1988, p. 93. ↩