Lucrezio, De Rerum Natura, traduzione di Antonio Vigilante.
Elogio di Epicuro
Argomento del libro
La paura della morte
L’animo e l’anima sono corporei
Animo e anima sono uniti
Ancora sulla natura corporea di animo e anima
Qualità degli atomi dell’animo e dell’anima
Gli elementi dell’anima
Dinamica dei quattro elementi
Elementi e caratteri
Il rapporto tra anima e corpo
Contro Democrito
L’animo prevale sull’anima
La mortalità dell’anima
L’anima non preesiste al corpo
Contro la metempsicosi
Ancora contro l’eternità dell’anima
La morte non è nulla per noi
Le parole della morte
L’inferno è già nella nostra vita
Anche i migliori sono morti
La nostra inquietudine
Tu che per primo un lume così chiaro
sei riuscito ad accendere nel mezzo
di tante tenebre, facendo luce
sui doni della vita; seguo te
o vanto delle genti greche, e imprimo
sulle tue tracce l’orma dei miei piedi,
5 e non certo perché voglia competere
ma per il desiderio d’imitarti.
Come potrebbe la rondine infatti
paragonarsi al cigno o la capretta
che a stento si sostiene sulle zampe
sfidare nella corsa la potenza
del cavallo? Tu, padre, sei colui
che ha scoperto le cose come sono,1
10 ti ci dispensi precetti paterni;
simili ad api che nei boschi in fiore
assaggiano ogni nettare, o illustre,
così noi ci pasciamo, nei tuoi scritti,
delle preziose sentenze; preziose,
e degnissime d’una vita eterna.
Da quando, infatti, la dottrina tua
15 ha preso a proclamare la natura
delle cose, sorgendo da una mente
divina, si dileguano i terrori
dell’animo, si schiudono i confini
del mondo e vedo compiersi nel vuoto
immenso tutte le cose. Compaiono
la maestà degli dei e le dimore
pacifiche in cui vivono, che i venti
non scuotono né bagnano le nuvole
20 con la pioggia e né, fioccando candida,
viola la neve, dura per il gelo,
ma le sovrasta un’etere che mai
è turbato da nuvole e risplende
d’una luce diffusa in ogni dove.
E tutto poi fornisce la natura
né cosa alcuna turba mai la pace
25 dell’animo. E al contrario le regioni
dell’Acheronte in nessun luogo appaiono
né la terra impedisce di osservare
tutto quello che accade sotto i nostri
piedi, nel vuoto profondo. E mi prende
per questo quasi un divino piacere
e al tempo stesso un senso di spavento,
30 poiché ecco che grazie alla tua forza
la natura ci appare manifesta,
illuminata in tutte le sue parti.
E poiché ho mostrato quali sono
i princìpi che formano ogni cosa
e in che modo, diversi per la forma,
spontaneamente volteggino, spinti
in un eterno moto, e in quale modo
possa venir creata grazie a loro
35 ogni cosa, mi sembra che ora debbano
i miei versi chiarire la natura
dell’animo e dell’anima, e cacciare
a precipizio fuori quel terrore
dell’Acheronte che fin nel profondo
turba le nostre vite, ricoprendo
ogni cosa col nero della morte
40 né lascia alcun piacere puro e limpido.
La gente spesso dice che la morte
e l’Inferno non sono da temere
più delle malattie o di una vita
squallida – poiché l’anima, lo sanno,
non è che sangue, o se si vuole vento,
45 e a nulla serve la nostra dottrina.
Non fidarti: lo dicono per vanto
e non perché lo pensino davvero.
Guardiamoli: esiliati dalla patria,
mandati via dal cospetto degli uomini,
accusati dei crimini più turpi
50 affetti insomma da ogni pena vivono
nondimeno, ed ovunque li sospinge
la malasorte bestie nere immolano
e riti funebri offrono agli spiriti
degli antenati. Più la vita è dura
e più si volgono alla religione.
55 Per questo occorre giudicare l’uomo
nelle incertezze, e in mezzo ai casi avversi
saper chi sia: infatti allora sgorgano
le vere voci dal fondo dall’anima
e la maschera cade: e resta il volto.
L’avarizia, la fame dissennata
60 degli onori che spinge i miserabili
ad andare al di là del giusto limite
a compiere delitti o a farsi complici
a sforzarsi con ansia giorno e notte
di raggiungere il massimo potere
sono mali, ferite della vita
che non poco alimenta la paura
65 della morte. Si crede che il disprezzo
e la miseria rendano impossibile
una vita piacevole e serena,
anticamere quasi della morte.
Inganna, la paura: e per fuggire
70 questi mali c’è gente che col sangue
dei sui concittadini ammassa beni,
raddoppia le ricchezze ed i delitti,
ride alle tristi esequie dei fratelli
ed ha paura di mangiare insieme
ai parenti. L’invidia li distrugge:
75 “Ma guardalo il potere che gli danno,
e quest’altro che passa come un dio
attorniato da stuoli di lecchini!”
E cadono nel fango e nella tenebra.
Vogliono, altri, la fama, e le statue.
E spesso per paura della morte
80 maturano un tal odio della vita
e della luce che col cuore gonfio
d’amarezza s’ammazzano. Non sanno
che il male che li affligge è la paura,
quel terrore che vince ogni ritegno
che spezza ogni legame d’amicizia
e li spinge a tacere la pietà.
85 Non pochi hanno tradito i genitori
o la patria cercando di sfuggire
all’Acheronte. Come i bimbi tremano
nel buio cieco, e tutto li spaventa,
così nel pieno della luce a volte
ci spaventano cose più risibili
90 di quelle che spaventano i bambini,
di quelle che s’aspettano i bambini.
Per prima cosa sostengo che l’animo,
95 spesso chiamato mente, in cui ha sede
il senno e il governo della vita
è una parte dell’uomo, esattamente
come la mano il piede e gli occhi sono
parti d’un solo organismo animale.2
***
il sentire dell’animo non è
situato in una parte definita,
ma è un qualche stato vitale del corpo,
100 quella che i Greci chiamano armonia,
che ci fa vivere in modo sensibile
senza che in qualche parte sia una mente;
così spesso si parla di salute
del corpo benché questa non consista
in qualche parte di colui che è sano.
Pertanto non assegnano al sentire
dell’animo una parte definita;
105 e in ciò, mi pare, sbagliano di molto.
Accade spesso infatti che una parte
visibile del corpo sia malata
mentre proviamo piacere in qualche altra
parte nascosta del corpo; ugualmente
succede spesso il contrario: soffriamo
nell’animo, avvertendo tuttavia
piacere in tutto il corpo, proprio come
110 a un ammalato può dolere il piede
senza magari alcun dolore al capo.
E poi, quando le membra s’abbandonano
al dolce sonno e il corpo giace steso,
pesante e privo di sensi, qualcosa
in quello stesso tempo tuttavia
115 in molti modi in noi s’agita e accoglie
dentro sé tutti i moti del piacere,
tutti gli inutili affanni del cuore.
Adesso perché tu possa sapere
che nelle nostre membra c’è anche un’anima
ed il corpo non ha la proprietà
del senso grazie a una qualche armonia,
innanzitutto spesso accade che anche
con gran parte del corpo mutilato
120 permanga tuttavia in noi la vita;
basta al contrario che un po’ di corpuscoli
del calore fuoriescano dal corpo
e che un po’ d’aria esali dalla bocca
perché la vita all’istante diserti
le vene ed abbandoni le ossa. Puoi
da ciò capire che non tutti gli atomi
125 hanno lo stesso ruolo, né ugualmente
sostengono la vita, ma quei semi
fatti di vento e di vapore caldo
maggiormente provvedono affinché
la vita si trattenga nelle membra.
Nel nostro corpo c’è dunque un calore,
un certo soffio vitale, che lascia
le membra quando stiamo per morire.
130 Accertato pertanto che l’essenza
dell’animo e dell’anima è una parte,
per così dire, dell’essere umano,
restituisci il nome di armonia,
recato ai musicisti giù dall’alto
Elicona, o che essi hanno ripreso
da qualche parte assegnandolo a ciò
che non aveva ancora un proprio nome.
135 Comunque stia la cosa, se lo tengano:
tu ascolta adesso il resto che ho da dire.
Sostengo adesso che l’animo e l’anima
sono avvinti tra sé e insieme formano
una sola natura, ma il pensiero
che noi chiamiamo mente oppure animo
rappresenta per così dire il capo
e domina sul corpo tutto intero.
140 Esso si trova nel mezzo del petto.
È infatti lì che ribollono l’ansia
e la paura, e lì intorno avvertiamo
come carezza il tocco della gioia;
sono lì dunque l’animo e la mente.
Quel che resta dell’anima è diffuso
in tutto il corpo e obbedisce alla mente
seguendo ogni suo cenno e volontà.
145 La mente sola conosce da sé
e da sé gode, quando nulla turba
l’anima o il corpo. E come quando in noi
la testa o gli occhi vengono colpiti
dal dolore non siamo tuttavia
tormentati in tutte le altre membra
così talora accade che sia offeso
solo l’animo nostro, e poi ritrovi
150 la gioia, mentre la parte restante
dell’anima diffusa in tutto il corpo
non è scossa da mutamento alcuno.
Quando però a sconvolgere la mente
è un più violento terrore vediamo
che l’anima l’avverte in ogni membro:
il corpo intero suda e si fa pallido,
155 ci si blocca la lingua, la parola
viene a mancare, si annebbiano gli occhi,
sibilano le orecchie, ogni arto
si fa fiacco ed ecco infine un uomo
perdere i sensi per il gran terrore
dell’anima. Da ciò comprenderai
facilmente che l’anima è congiunta
con l’animo, così che quando questo
160 la investe con violenza, essa a sua volta
agita tutto il corpo e lo sconvolge.
Questo dimostra anche che è corporea
la natura dell’animo e dell’anima.
La vediamo sospingere le membra,
strappare il corpo al sonno, trasformare
l’espressione del viso e insomma reggere
e governare la persona intera.
165 E poiché nulla di questo è possibile,
è chiaro, senza contatto, e a sua volta
perché vi sia contatto occorre un corpo,
si può forse negare che sia l’animo
che l’anima abbiano essenza corporea?
Inoltre vedi che l’animo soffre
insieme al corpo, sente quel che sente
170 il corpo: se anche la violenza orribile
d’una freccia non giunge ad ammazzarci,
pur lacerando dentro le ossa e i nervi,
ne segue tuttavia una debolezza
e un dolce abbandonarsi a terra; e a terra
sorge poi nella mente un’inquietudine
e a tratti una malferma volontà
175 di rialzarsi. E dunque la natura
dell’animo dev’essere corporea
se soffre l’urto corporeo dei dardi.
Ora proseguirò dandoti conto
della materia che forma quest’animo.
Prima cosa: ha natura sottilissima,
180 formata interamente da corpuscoli
minuscoli. Rifletti attentamente
su quel che sto per dire e capirai
che è così. Non c’è nulla che sia rapido
quanto ciò che la mente si propone
ed esegue. Si muove dunque l’animo
più rapido di tutte le altre cose
185 la cui natura appaia al nostro sguardo.
Ma quel che così rapido si muove
occorre che sia fatto interamente
da semi piccoli e di forma tonda,
così che possano muoversi spinti
dal più piccolo impulso. Infatti l’acqua
si muove e oscilla al più piccolo tocco
190 perché è formata d’atomi scorrevoli
e minuti. Al contrario il miele appare
più fermo, il suo liquido è più lento
e si muove non senza qualche impaccio;
la sua materia è tutta concentrata
195 certo perché composta da corpuscoli
non così lisci, sottili e rotondi.
Una brezza leggera è sufficiente
a buttar giù un alto mucchio di semi
di papavero e invece non può farlo
con un ammasso di pietre o di spighe.
I corpi dunque tanto più si muovono
200 quanto più sono piccoli e leggeri;
quelli al contrario più pesanti ed irti
sono dotati di maggior saldezza.
Poiché è chiaro che l’animo ha natura
mobilissima, occorre che risulti
205 interamente d’atomi minuti
e leggeri, di forma tondeggiante.
Sapere questa cosa, amico caro,
ti sarà vantaggioso ed opportuno
in molte situazioni. Un altro fatto
rivela quale sia la sua natura,
quanto leggera ne sia la struttura
210 e quanto poco spazio occuperebbe
se si potesse condensare: appena
la quiete indifferente della morte
cade sull’uomo e svaniscono insieme
la natura dell’animo e dell’anima
vedi che il corpo non cambia per nulla,
né nell’aspetto esterno né nel peso:
la morte lascia tutto come prima
215 tranne il senso vitale ed il calore.
È dunque necessario che a comporre
l’anima siano semi piccolissimi
intrecciati alle viscere, alle vene,
e ai nervi, poiché quando si dilegua
interamente dal corpo ne lascia
220 intatta l’apparenza e nulla toglie
al peso. È come quando la fragranza
del vino evapora o il dolce profumo
d’un unguento svanisce nell’ambiente
o quando un cibo perde il suo sapore:
queste cose allo sguardo non appaiono
225 per ciò diminuite e nulla sembra
sottratto al loro peso, certamente
perché il sapore e l’odore provengono
da pochi atomi minuti, sparsi
in tutto quanto il corpo delle cose.
Da questo si comprende ancora meglio
che l’anima e la mente hanno natura
230 originata da semi minuscoli,
poiché svanendo nulla toglie al peso.
Non bisogna però credere semplice
questa natura. Infatti un soffio lieve
abbandona i morenti, mescolato
a vapore; e il vapore trae con sé
dell’aria. Né del resto v’è calore
senza che ad esso sia mista dell’aria.
235 Poiché infatti la sua natura è rada
bisogna che all’interno vi si muovano
molti atomi. Pertanto la natura
dell’animo ci appare adesso triplice;
e tuttavia non sono sufficienti
questi elementi a generare il senso.
Infatti la ragione non ammette
che alcuno d’essi possa originare
240 i movimenti da cui viene il senso
ed i vari pensieri della mente.
Ad essi occorre aggiungere una quarta
natura, che è sprovvista d’un suo nome
e non c’è nulla che sia più sottile
e mobile o composto da elementi
245 più piccoli e leggeri; essa per prima
diffonde nelle membra i movimenti
che danno origine al senso. Si muove
per prima, infatti, avendo atomi piccoli;
il movimento giunge poi al calore
e alla forza invisibile del vento
e poi ancora all’aria e quindi tutto
si mette in movimento: il sangue s’agita,
scuote tutte le viscere ed infine
250 giunge a toccare le ossa e le midolla,
sia esso il fuoco del piacere oppure
il suo opposto. Non può il dolore giungere
fin qui, né penetrare un male acuto,
senza che tutto ne venga squassato
e non vi sia più luogo per la vita
255 e le parti dell’anima svaniscano
da ogni poro del corpo. Per lo più
simili moti s’arrestano quasi
all’esterno del corpo, ed è per questo
che siamo in grado di tenerci in vita.
Vorrei ora spiegare come agiscano
questi elementi, fra di sé mischiati
260 e strutturati, ma la povertà
della lingua paterna mi trattiene.
Ne parlerò tuttavia come posso.
I primordiali corpuscoli corrono
e s’intrecciano al punto che è impossibile
separarne uno solo, né può agire
il suo potere in uno spazio proprio,
265 ma sono quasi come tante forze
che fanno parte di uno stesso corpo.
Dentro le viscere d’ogni animale
vi sono sempre un odore, un calore
e un sapore diversi, e tuttavia
essi compongono una sola massa
corporea; così il calore, l’aria,
la potenza invisibile del vento
270 mescolati tra sé costituiscono
una sola natura, insieme a quella
mobile forza che inizia e trasmette
ad essi il movimento e da cui nasce
attraverso le viscere per primo
il moto proprio della sensazione.
Questa natura infatti si nasconde
nel profondo e non v’è nel nostro corpo
275 una cosa più intima: dell’anima
intera è a sua volta l’anima.
Come frammiste a tutto il nostro corpo
e alle membra in noi sono nascoste
le facoltà dell’animo e dell’anima,
fatte di radi e piccoli corpuscoli,
così una tale forza senza nome
composta da corpuscoli minuti
280 si nasconde nel corpo ed a sua volta
è quasi l’anima di tutta l’anima
ed ha il dominio sull’intero corpo.
In modo simile occorre che il vento
e l’aria ed il calore si rafforzino
mischiandosi fra sé in tutte le membra
sì che a turno ciascuna sia più in basso
285 o sovrasti le altre e dall’insieme
si veda nascere qualcosa d’unico,
a meno che la potenza dell’aria
ed il calore e il vento separandosi
non annientino il senso e lo dissolvano.
Nell’animo c’è anche quel calore
che lo afferra allorché brucia di rabbia
e palpita negli occhi una scintilla;
290 c’è molta aria fredda, che accompagna
la paura, che suscita dei brividi
nelle membra e fa tremare gli arti
e infine c’è quello stato pacato
dell’aria che ci fa il cuore tranquillo
ed il volto sereno. Ma maggiore
è il calore in quelli che hanno il cuore
295 più aspro e la mente pronta all’ira.
Tra questi in primo luogo la violenta
potenza dei leoni che ruggiscono
fino a squassarsi il petto né riescono
nel petto a contenere la tempesta
della rabbia. Invece la natura
dei cervi è fredda, fatta più di vento,
300 e più rapida suscita dei soffi
gelidi nelle viscere che causano
nelle membra un movimento tremulo.
La natura dei buoi vive piuttosto
di un’aria placida: è raro che giunga
a eccitarla la fiaccola dell’ira
col suo fumo, gettandola nel buio
305 d’una cieca caligine, o trafitta
dalle gelide frecce del terrore
si faccia turgida; è a mezzo tra i cervi
e i leoni feroci. Tale è il genere
degli uomini. Benché l’educazione
randa alcuni ugualmente raffinati,
non cancella però le primordiali
tracce della natura di ciascuno.
310 Né si deve pensare che i difetti
si possano estirpare alla radice,
sì che l’uno non sia rapido all’ira
un altro presto ceda alla paura
e un terzo accetti mite ciò che è ingiusto.
E in molte altre cose è necessario
315 che le nature umane differiscano,
come pure i costumi che ne seguono;
e non so dirne, io, le cause occulte
né dare un nome a ognuna delle tante
forme deli primi principi da cui
nasce una tale varietà di cose.
Ma questo posso dire con certezza:
320 è così lieve quello che rimane
della nostra natura, che non riesce
a debellare la nostra dottrina,
che nulla ci impedisce di passare
una vita ben degna degli dèi.
Questa natura dunque è trattenuta
dal corpo intero della cui salute
è a sua volta la causa e la difesa;
325 hanno infatti radici che si intrecciano
e non sembra si possano staccare
senza causare un danno all’una e all’altra.
Come dai grani d’incenso è difficile
liberare l’essenza profumata
evitando che essa di disperda
così è difficile estrarre dal corpo
330 la natura dell’animo e dell’anima
senza che tutto quanto si dissolva.
Con i principi così aggrovigliati
tra di loro, fin dalla prima origine
hanno una vita comune ed è chiaro
che le potenze del corpo e dell’anima
non sono in grado da sé di sentire,
senza aiutarsi con forza reciproca;
335 il senso nelle viscere s’accende
in noi per via di moti coordinati
di entrambi. Il corpo, poi, da sé non nasce
né cresce né, come vediamo, dura
dopo la morte. Spesso l’acqua perde
340 il calore ottenuto e tuttavia
questo non la sconvolge: resta intatta.
Non così, dico, accade al nostro corpo,
che non sopporta il distacco dell’anima
ma ne è sconvolto e muore e imputridisce.
Così, fin dall’inizio, il corpo e l’anima
345 con i reciproci contatti imparano
insieme i movimenti della vita
fin dalla culla del ventre materno,
sì che non vi può essere distacco
cui non segua rovina e distruzione.
E dunque vedi: se è congiunto quello
che è in entrambi causa di salute
saranno anche congiunte le nature.
350 E se qualcuno nega poi che il corpo
sia in grado di sentire ed è convinto
che l’anima, dispersa in tutto il corpo,
dia inizio da sé a quel movimento
cui diamo il nome di senso, si oppone
al vero e all’evidenza delle cose.
Chi infatti ci dirà questo sentire
355 del corpo cosa sia se non la stessa
evidenza che viene dalle cose?
“Ma appena l’anima lo lascia, il corpo
perde del tutto il senso.” Infatti perde
quello che in vita non gli apparteneva
e molte altre cose pure perde
quando viene cacciato dalla vita.
Poi sostenere che gli occhi non possono
360 vedere nulla ma attraverso di essi
è l’animo che guarda, quasi fossero
usci aperti, è difficile, perché
in direzione opposta ci conduce
il senso della vista. Esso infatti
tira e costringe alle pupille stesse,
soprattutto allorché, come succede
spesso, non siamo in grado di distinguere
le cose che risplendono, poiché
la luce della vista è impacciata
365 da tanta luce esterna. Non succede
agli usci, e infatti quelli che ci servono
per la vista non hanno alcun dolore
quando li spalanchiamo. D’altra parte
se come usci ci fossero gli occhi
una volta estirpati il nostro animo
dovrebbe meglio scorgere le cose,
tolti di mezzo gli stessi battenti.
370 Non potresti, al riguardo, fare tua
la veneranda dottrina del grande
Democrito, cioè che gli elementi
primordiali dell’anima e del corpo,
accostati uno ad uno in modo tale
da alternarsi, intrecciano le membra.
Infatti gli elementi che compongono
l’anima sono molti più minuti
375 di quelli di cui constano le viscere
ed il corpo; e non solo: sono anche
inferiori per numero, e radi,
e sparpagliati per tutte le membra
sì che di questo puoi essere certo:
che la grandezza degli atomi in grado
di dare avvio, colpendoci, ai moti
380 sensoriali è legata alla distanza
tra i primordiali elementi dell’anima.
E invero spesso neanche ci accorgiamo
che della polvere aderisce al corpo
o che ci resta addosso dell’argilla
gettata da qualcuno,3 né sentiamo
la nebbia quando è notte né i sottili
fili del ragno stesi per la via
che ci avvolgono mentre procediamo
385 o la sua vecchia spoglia che ci casca
in testa o le piume degli uccelli
o ancora i pappi volanti, che cadono
per lo più lenti, tanto son leggeri,
né avvertiamo lo scatto d’un qualsiasi
animale o il tocco d’ogni zampa
390 delle pulci e di altri insetti simili.
Devono dunque in noi mettersi in moto
molti elementi prima che i primordi
dell’anima, mischiati nelle membra
agli atomi del corpo, percepiscano
la scossa e superando le distanze
che li separano possano raggiungersi
395 ed urtarsi, unirsi, rimbalzare.
Più di quella dell’anima, è la forza
dell’animo che tiene stretti i vincoli
della vita e ha dominio su di essa.
Senza la mente e l’animo nessuna
parte dell’anima è in grado, sia pure
per un brevissimo lasso di tempo,
400 di restare nel corpo ma li segue
ed accompagna subito, svanisce
nell’aria e lascia al freddo della morte
le membra gelide. Invece colui
in cui permangono la mente e l’animo
rimane in vita. Un tronco lacerato,
cui siano state tagliate le membra
e l’anima strappata tutt’intorno
405 e ormai lontana dal corpo, rimane
in vita tuttavia e respira i soffi
vivificanti del cielo. Privato
se non del tutto, di una grande parte
dell’anima indugia nella vita
e le resta attaccato, come quando
è lacerato l’occhio ma rimane
intatta la pupilla e non ha danno
410 la facoltà della vista, purché
non si distrugga interamente il globo
oculare incidendo la pupilla
e lasciandola sola; questo infatti
distruggerebbe sia l’uno che l’altra.
Ma se è consunta una parte nel centro
dell’occhio, benché piccola, in un attimo
la vista è persa e seguono le tenebre,
415 anche se il resto del lucido globo
permane intatto. Ed è con questo vincolo
che sempre sono stretti animo ed anima.
Continuo ora a disporre i miei versi,
frutto di lunga ricerca e di dolce
fatica, degni della vita tua,
perché tu sappia che in tutti i viventi
sia l’animo che l’anima leggera
420 hanno nascita e morte. Tu fa’ in modo
di unirli entrambi in uno stesso nome
e quando parlo ad esempio dell’anima
e insegno che è mortale, ti sia chiaro
che quel che dico vale anche per l’animo,
perché sono congiunti al punto tale
che insieme formano una cosa sola.
425 Ho insegnato che l’anima leggera
consta di corpi minuti, di atomi
di gran lunga più piccoli di quelli
del liquido dell’acqua o della nebbia
o del fumo, di cui è infatti molto
più mobile ed è messa in movimento
sospinta da un impulso leggerissimo:
430 possono muoverla le stesse immagini
del fumo e della nebbia, come accade
quando sopiti nel sonno vediamo
esalare vapori dagli altari
insieme al fumo. Infatti non c’è dubbio
che siano simulacri che pervengono
fino a noi. Ordunque, se da vasi
435 infranti vedi spargersi gli umori
e disperdersi il liquido e poiché
si perdono nell’aria nebbia e fumo,
pensa che pure l’anima si perde
ed è molto più rapida a morire,
più svelta a sciogliersi nei corpi primi,
non appena è strappata dalle membra
440 dell’uomo si dilegua. E certamente
se il nostro corpo, che ne è quasi il vaso,
non può più contenerla quando accade
che a causa di qualcosa sia squassato
e rarefatto per via del ritrarsi
del sangue dalle vene, come puoi
credere che la possa contenere
dell’aria, rarefatta più del corpo
e inadatta a racchiudere alcunché?4
445 Sentiamo inoltre che la mente nasce
con il corpo e con esso cresce e invecchia.
Al corpo debole e tenue dei bimbi
che vacillano incerti corrisponde
nell’animo un senno ben modesto;
quando poi cresce e acquista robustezza
450 matura anche il giudizio e si fa grande
la potenza dell’animo. E poi quando
il corpo cede agli assalti del tempo
e cascano le membra, fiacche ormai,
la ragione incespica la lingua
delira oscilla la mente: ad un tempo
tutto viene a mancare, tutto sfugge.
455 Ed è normale dunque che svanisca
simile a fumo su in alto, nell’aria
anche l’intera natura dell’anima,
poiché vediamo che nascono insieme
insieme crescono e, come ho insegnato,
vinti dal tempo insieme si sfiniscono.
Aggiungi che vediamo a un tempo il corpo
460 patire mali immani e gran dolore
e l’anima terribili inquietudini
e il lutto, e la paura; è naturale
che abbiano in comune anche la morte.
Anzi, nei morbi del corpo sovente
l’animo si smarrisce: folle, dice
465 cose prive di senso e a volte è spinto
da una violenta letargia in un sonno
profondo, eterno, con gli occhi e la testa
che cascano, da cui più non è in grado
di sentire le voci di distinguere
i volti di coloro che gli stanno
intorno e con le lacrime che bagnano
le guance e il volto lo chiamano a vivere.
470 Per questo occorre ammettere che l’animo
si dissolve ugualmente, dal momento
che viene anch’esso toccato dai morbi;
dolore e morbo infatti sono entrambi
cause di morte, come ben sappiamo
per i tanti che abbiamo già perduto.5
Perché altrimenti, quando l’aspra forza
del vino ci pervade e il suo ardore
si diffonde per bene nelle vene
presto si appesantiscono le membra,
il passo si fa incerto e vacillante,
s’intorpidisce la lingua la mente
480 s’immerge nella nebbia gli occhi
non riescono a fissare cosa alcuna
e crescono singhiozzi urla liti
e tutte le altre cose che sappiamo,
perché succede, se non perché il vino
riesce a turbare l’animo fin dentro
il corpo con il suo violento irrompere?
Ma quello che può essere turbato
485 o bloccato appare suscettibile
di morire, privato del futuro,
se s’insinua una forza più violenta.
Spesso colpito da un morbo violento
qualcuno, come travolto da un fulmine,
crolla davanti agli occhi nostri, schiuma,
geme, sussulta in tutto quanto il corpo,
490 vaneggia, tende i muscoli, si torce,
respira con affanno, getta gli arti
qua e là, spossandosi: di certo accade
per la violenza del morbo che penetra
in tutto il corpo e fa schiumare l’anima
come nel salso mare la potenza
del vento alza ed agita le onde.
495 Ed emette poi gemiti, perché
le membra sono afflitte dal dolore
e i semi della voce, agglomerati,
vengono espulsi attraverso la bocca
per la via ben consueta ed accessibile.
Sopraggiunge il delirio, ché sconvolta
500 è la forza dell’animo e dell’anima
e, come ti ho insegnato, è frammentata
e dispersa qua e là da quel veleno.
Quando la causa del morbo s’è ormai
ritirata e l’umore acre ritorna
nelle sue sedi nascoste nel corpo
malato, prova a rialzarsi, malfermo,
505 e un po’ alla volta si riprende i sensi
e recupera l’anima. Se dunque
mente ed anima sono tormentate
fin nel corpo da morbi così gravi
e straziate così miseramente
come puoi credere che senza il corpo
all’aria aperta, esposti a forti venti,
sia per loro possibile la vita?
510 E se vediamo che si può sanare
una mente e ammansirla con un farmaco
come si fa con il corpo malato
è questo un segno che anch’essa è mortale.
Chiunque infatti cerchi di cambiare
la mente o qualsivoglia altra sostanza
deve aggiungere parti o commutarne
515 l’ordine o togliere al tutto un nonnulla.
Ma quello che è immortale non consente
un tale spostamento delle parti
o che alcunché gli si aggiunga o si tolga.
E certo tutto ciò che si trasforma
ed esce dai suoi limiti all’istante
520 muore nella sua forma precedente.6
Sia ammalandosi, dunque, che cambiando
grazie all’azione della medicina,
l’animo, come ho insegnato, dimostra
la sua natura mortale. È evidente
fino a tal punto che la verità
si oppone al falso e gli sbarra la fuga
525 dando una doppia prova dell’errore.
Vediamo spesso, infine, un uomo spegnersi
un po’ alla volta e un membro dopo l’altro
perdere il senso vitale: per prime
si fanno livide le dita e le unghie
dei piedi quindi il piede intero muore
e poi le gambe e poi per le altre membra
530 con passi lenti e gelidi procede
la morte. E poiché questa natura
si separa in più parti7 e non fuoriesce
tutta intera, dev’essere mortale.
E se per caso ritieni che l’anima
possa ritrarsi all’interno attraverso
le giunture del corpo e unire tutte
535 le sue parti in un punto e qui chiamare
a raccolta la facoltà del senso
togliendola alle membra, pur dovrebbe
quel luogo in si stringe tutta l’anima
apparirci dotato di maggiore
capacità di senso; e dal momento
che un tale punto non è in alcun luogo
di certo, come ho detto, fuoriuscendo
dal corpo si separa e si disperde:
540 e dunque muore. Se anzi ci piacesse
ora concedere il falso ed ammettere
che l’anima si possa agglomerare
nel corpo di chi sta morendo e lascia
a poco a poco la luce, bisogna
comunque riconoscerla mortale
e poco importa che muoia perdendosi
545 nell’aria oppure, tutta in sé raccolta,
s’intorpidisca, quando a tutto l’uomo
vien meno sempre più, e ovunque, il senso
e ovunque sempre più manca la vita.
Poiché la mente è una parte dell’uomo
che ha un suo luogo preciso, in cui permane,
550 come le orecchie, gli occhi e ogni altro senso
che governa la vita e dal momento
che staccati da noi le mani, gli occhi,
il naso non riescono a sentire
e a esistere ma presto imputridiscono
e diventano nulla così l’animo
non può esistere senza il corpo e l’uomo
555 stesso, che ne è per così dire il vaso
o qualsiasi altro oggetto meglio unito
ad essa tu riesca a immaginare,
ché ad essa il corpo aderisce ben stretto.
Congiunte, insomma, hanno forza e fruiscono
della vita le facoltà vitali
560 dell’animo e del corpo; la natura
dell’animo non può per sé, da sola,
senza il corpo produrre i movimenti
della vita, né d’altra parte il corpo
può, privato dell’animo, durare
e avere l’uso dei sensi. Ed è chiaro:
come strappato dalle sue radici
e separato dal resto del corpo
l’occhio non può vedere cosa alcuna
565 così, s’intende, l’animo ed il corpo
separati tra loro nulla possono.
Certo perché i loro atomi, frammisti
per vene e viscere, per nervi ed ossa,
sono racchiusi dall’intero corpo
senza poter balzare in libertà
per grandi spazi vuoti; così chiusi
570 compiono i movimenti da cui nasce
il senso, movimenti che non possono
attuare dopo la morte, gettati
fuori dal corpo, nell’aria e nel vento,
più non essendo così trattenuti.
L’aria sarebbe corpo e creatura
se l’anima potesse starvi unita
ed in essa concludere quei moti
575 che prima agiva nei nervi e nel corpo.
Perciò una volta ancora è necessario
ammettere che quando s’è dissolto
interamente il vestito corporeo
e viene espulso il soffio della vita
anche il senso dell’anima si perde
e l’anima con esso, dal momento
che la causa di entrambi è collegata.
580 Se infine il corpo non può sopportare
di distaccarsi dall’anima senza
corrompersi con orrido fetore
come puoi dubitare che la forza
dell’anima irrompendo dal profondo
esali come fumo, dileguandosi,
585 e dunque il corpo, mutato da tale
rovina, vada in putrefazione,
perché le fondamenta sono state
smosse nell’intimo dal loro luogo
mentre fuoriesce l’anima attraverso
le membra, tutti i percorsi sinuosi
delle vene e le cavità del corpo?
Puoi sapere da ciò che la natura
dell’anima, divisa in molti modi,
è fuoriuscita attraverso le membra
590 e già nel corpo stesso era spezzata,
prima di scivolare via nel vento.
E in verità, mentre ancora si volge
dentro i confini della vita, accade
sovente che travolta da qualcosa
l’anima sembri andarsene e volersi
595 separare dal corpo; si fa languido
il volto, quasi fosse l’ora estrema,
e s’abbandonano le membra molli
del corpo esangue. È quello che succede
quando si dice che qualcuno ha avuto
un colpo o ha perso i sensi;8 e già si trepida
e si cerca con ansia di afferrare
all’estremo la fune della vita.
600 Sono allora del tutto sconquassate
le facoltà della mente e dell’anima,
in rovina con tutto quanto il corpo
al punto che sarebbe sufficiente
una causa appena un po’ più forte
per dissolverle. E dunque perché dubiti
che fuoriuscita dal corpo, all’aperto,
così fragile, senza il suo vestito,
605 non sia per lei possibile durare
non soltanto in eterno, ma nemmeno
per un brevissimo lasso di tempo?
E del resto non sembra che morendo
qualcuno senta fuoriuscirgli l’anima
dal corpo tutt’intera, e prima ancora
giungergli nella gola e poi salire
610 alle fauci; in realtà viene a mancare
situata in un posto ben preciso.
Così avverte tutti gli altri sensi
dissolversi ognuno nel suo sito.
Non si lamenterebbe di dissolversi
la nostra mente, morendo, se fosse
immortale; sarebbe invece lieta
d’uscirsene e lasciare la sua veste
615 come fanno i serpenti. E perché poi
la mente e il senno dell’animo mai
nascono nella testa o nelle mani
o nei piedi, bensì in tutti aderiscono
ad una sede e regione precisa
se non per la ragione che a ogni cosa
viene assegnato un luogo ben preciso
per nascere e in cui possa durare
620 una volta creata, con le membra
ripartite in modo che mai possa
l’ordine loro venire sconvolto?
A tal punto una cosa segue all’altra
e non è solito che il fuoco nasca
dal fiume o il gelo sorga dalla fiamma.
E inoltre, se la natura dell’anima
625 è immortale e capace di sentire
separata dal corpo dovrà pure,
così mi pare, avere i cinque sensi.
Né altrimenti possiamo figurarci
vagare lungo l’Acheronte le anime
infere. Ed è così che nelle età
630 del passato i pittori e gli scrittori
presentarono le anime: dotate
dei sensi. E tuttavia presa per sé
l’anima non può avere occhi o narici
o mani e tanto meno lingua e orecchie;
non può aver senso, dunque, né sussistere.
Poiché sentiamo che il senso vitale
635 è in tutto il corpo ed è tutto animato,
se all’improvviso una forza qualsiasi
lo fendesse nel mezzo con un colpo
rapido, sì da scinderlo in due pezzi,
senza dubbio sarebbe separata
anche la forza dell’anima, scissa,
tagliata in due insieme con il corpo.
640 Ma ciò che viene scisso e fatto a pezzi
nega certo d’avere una natura
immortale. Raccontano che i carri
armati con le falci9 nel calore
confuso della strage spesso stacchino
le membra in modo tanto repentino
che quel che cade reciso dagli arti
645 si vede ancora sussultare a terra,
mentre la mente e la forza dell’uomo
nemmeno avvertono il dolore, tanto
è rapida la piaga e anche perché
la mente è tutta assorta nella lotta:
con quel che resta del corpo è bramoso
di lotta e di massacro e non s’avvede
sovente d’aver perso con lo scudo
650 la sua mano sinistra, che le ruote
e le falci rapaci già trascinano
tra i cavalli. Un altro non s’accorge
d’aver perso la destra, mentre incalza
e s’arrampica. E qui c’è un altro ancora
che cerca di levarsi sulla gamba
che non ha più e il suo piede a terra muore
agitando le dita ancora un poco.
Una testa tagliata via dal tronco
655 ancora caldo e vivente conserva
a terra il volto vivo e gli occhi aperti
fin quando è reso ogni residuo d’anima.
E se anzi ti piacesse fare a pezzi
con una scure il corpo d’un serpente
di quelli lunghi, ch’ergono la coda
minacciosa, la lingua sibilante,
660 vedresti, appena fatto il taglio, tutte
le sue parti agitarsi ed inzuppare
d’umore putrido la terra e il pezzo
anteriore, impazzito di dolore,
cercare con la bocca le altre parti
per stringerle nel morso. In questo caso
665 diremo che c’è un’anima in ciascuno
di quei pezzi? Ma ciò vorrebbe dire
che un unico animale aveva in corpo
anime plurime. Essa, che era uno
col corpo è stata divisa; è da credere
che entrambi siano mortali, poiché
è ugualmente possibile dividerli.
670 Ed ancora: se l’anima è immortale
e s’insinua nel corpo di chi nasce
come mai non possiamo ricordare
il tempo precedente e non abbiamo
traccia alcuna di quel che abbiamo fatto?
Infatti se la facoltà dell’anima
è mutata così profondamente
675 che ha perso la memoria di ogni azione
compiuta, una tale condizione
mi pare che non sia troppo lontana
dalla morte; e dunque è necessario
ammettere che l’anima di prima
è morta e quella attuale è nata ora.
E se inoltre la facoltà dell’anima
680 si introduce nel corpo già formato,
quando nasciamo e varchiamo la soglia
della vita, allora non dovremmo
vederla crescere col corpo, insieme
alle membra, nel nostro stesso sangue,
ma vivrebbe da sola, come in gabbia,
685 e tuttavia in modo da far giungere
il senso a tutto il corpo. Lo ripeto
una volta di più: non è da credere
le anime prive di nascita e libere
dalla morte. Non è infatti da credere
che possano, insinuandosi da fuori,
unirsi ai corpi in modo così forte;
690 i fatti mostrano invece il contrario:
l’anima infatti è talmente intrecciata
nelle vene, nei nervi, nelle viscere
e nelle ossa che perfino i denti
sono provvisti di senso; lo provano
il dolore causato da una carie
o la fitta dovuta all’acqua gelida
o a un duro sassolino capitato10
695 nel pane. E poi, intrecciate come sono,
non sembra possano uscirsene incolumi,
staccarsi tutte intere dalla massa
di nervi, ossa, articolazioni.
Crederai, forse, che l’anima venga
dall’esterno e sia solita diffondersi
700 poi nelle nostre membra; ma ancor più
in questo caso sarebbe mortale,
essendo così sparsa in tutto il corpo:
ciò che permea infatti si dissolve,
e dunque muore; infatti si disperde
attraverso ogni cavità del corpo.
Come il cibo, spargendosi negli arti
e nelle membra, muore, ma da sé
forma una nuova sostanza, così
705 l’animo e l’anima, anche entrando intatti
nel corpo appena formato, spandendosi
tuttavia si dissolvono, allorquando
per quasi ogni cavità degli arti
si diffondono gli atomi che formano
l’essenza di quell’anima che adesso
domina il nostro corpo, e che proviene
700 da quell’altra che è morta allora, quando
s’è dispersa attraverso l’organismo.
Quest’anima non sembra dunque senza
nascita ed affrancata dalla morte.
E poi: restano oppure no dei semi
dell’anima nel corpo senza vita?
Perché se restano, racchiusi in esso,
715 non si può certo credere immortale
poiché uscendo ha perso delle parti;
se invece s’allontana tutta intatta
e non lascia nel corpo parte alcuna
come mai dalle carni putrefatte
720 dei cadaveri pullulano vermi,
e brulica sugli arti tumefatti
una sì grande folla di creature
senza ossa né sangue? Ché se credi
che delle anime giunte dall’esterno
s’insinuino nei vermi e una per ad una
possano entrare in quei corpi e nemmeno
ti chiedi come mai molte migliaia
725 d’anime si raccolgano là dove
una s’è allontanata, questo almeno
sembra si debba indagare e decidere:
se infine le anime vadano a caccia
di tutti i semi dei vermetti e formino
così la loro dimora o s’insinuino
per così dire in corpi già completi.
730 Ma non è facile dire perché
lo facciano, a che scopo s’affatichino.
Essendo senza corpo, infatti, certo
non volano qua e là sollecitate
dai malanni, dal gelo, dalla fame;
a questi affanni il corpo è più soggetto
e molti mali all’anima provengono
735 dal contatto con esso. Ma ammettiamo
che sia per loro in qualche modo utile
farsi un corpo ed entrarvi; non si vede
in che modo però possano farlo.
Le anime dunque non si costruiscono
dei corpi e delle membra, ma nemmeno
s’insinuano nei corpi già formati
ché non potranno essere intrecciate
740 sottilmente con essi né produrre
attraverso il contatto l’armonia.
E perché poi alla funesta specie
dei leoni si associa la violenza
più feroce, alle volpi la furbizia,
ed ai cervi la fuga, ereditata
dai loro padri, insieme alla paura
che mette in moto le zampe, perché
tutte le altre cose di tal genere
745 nella mente e nell’indole si generano
fin dalla prima età, se non perché
la facoltà dell’animo in ciascuno
cresce di pari passo con il corpo,
in accordo col seme e con la specie?
Ma se fosse immortale, se passasse
da un corpo all’altro, gli esseri animali
avrebbero comportamenti misti
750 tra di loro: il cane ircano spesso11
scapperebbe, incalzato dalle corna
d’un cervo, e il falco atterrito all’arrivo
d’una colomba si dileguerebbe
seguendo il corso del vento; sarebbero
folli gli umani, e sapienti le bestie.
E si sbagliano quelli che sostengono
755 che l’anima immortale si trasforma
cambiando corpo. Infatti tutto ciò
che muta si dissolve e dunque muore.
Le parti infatti si spostano, cambiano
ordine; e dovranno pur dissolversi
certo attraverso le membra ed infine
tutte quante morire insieme al corpo.
760 Se diranno che le anime degli uomini
sempre trasmigrano in un corpo umano
chiederò come mai l’anima ch’era
saggia diventi sciocca e non vi sia
un solo bimbo dotato di senno
né un cavallino che abbia la maestria
765 d’un focoso destriero. Certamente
ricorreranno alla tesi che un corpo
molle fa rammollire anche la mente.
Ma se anche fosse così bisognerebbe
ammettere che l’anima è mortale
perché così mutata nelle membra
perde la vita e il senso precedenti.
E la forza dell’animo in che modo
770 rafforzandosi in uno con il corpo
potrà giungere al fiore della vita
agognato, se non sarà legato
fin dall’inizio ad esso? E poi perché
quando le membre sono vecchie vuole
abbandonarle? Ha per caso timore
di restar chiuso nel corpo in rovina
e che la casa, consunta dal lento
775 trascorrere del tempo, lo travolga?
Ma chi è immortale non ha alcun pericolo.
Appare poi ridicolo che le anime
stiano lì pronte, assistendo ai connubi
di Venere e ai parti delle fiere;
ch’esse immortali attendano d’avere
membra mortali, in schiera innumerevole,
e corrono lottando tra di loro
780 per essere le prime a insinuarsi;
a meno che non vi sia qualche patto
tra le anime per cui quella che giunge
per prima a volo sia la prima a entrare
e non vi sia contesa tra di loro.
Non è possibile, infine, che gli alberi
785 stiano nel cielo o le nubi nel mare
profondo né che vivano nei campi
i pesci o che ci sia sangue nel legno
o nelle pietre l’umore vitale:
per ogni cosa è stabilito un luogo
certo in cui possa crescere e restare.
La natura dell’animo pertanto
non può nascere sola, senza il corpo,
né separarsi dai nervi e dal sangue.
790 Se lo potesse, la forza dell’animo
potrebbe meglio ancora star nel capo
o negli omeri o ancora nei talloni,
sarebbe solita nascere in ogni
parte del corpo restando comunque
nell’uomo stesso, nello stesso vaso.
E poiché è chiaro che l’anima e l’animo
hanno nel corpo un luogo ben preciso
795 e prefissato in cui restare e crescere
separati, ancor più va contestato
che possano durare e generarsi
fuori dal corpo intero. Perciò quando
il corpo muore è necessario ammettere
che muore pure l’anima, diffusa
800 per tutto il corpo. Ed è certo follia
congiungere l’eterno ed il mortale,
ritenere che possano accordarsi
e avere un mutuo scambio. Cosa infatti
si può pensare di più discordante
e scombinato che unire il mortale
e l’eterno e perenne, affinché insieme
possano sopportare aspre tempeste?
Le cose poi che durano in eterno
bisogna che abbiano il corpo ben solido
sì da respingere gli urti e impedire
a qualcosa di entrare e disgrerarne
810 le parti interne, come sono i corpi
materiali, di cui prima ho mostrato
la natura; o che possano resistere
in eterno perché immuni dai colpi
come succede al vuoto, che permane
intatto, senza che nulla lo sfiori;
o ancora che non siano circondate
815 da un certo spazio in cui, per così dire,
le cose possano involarsi e perdersi,
come eterno è l’insieme delle cose,
che non ha un luogo esterno in cui svaniscano
né esistono dei corpi che colpendolo
lo infrangano con urto violentissimo.
E se per caso l’anima dev’essere
820 ritenuta immortale perché cose
vitali la conservano e difendono
o perché quelle avverse alla sua vita
non riescono a raggiungerla o se giungono
per una qualche ragione recedono
respinte prima ancora che avvertiamo
in quale modo ci possano nuocere12
***
la colpiscono infatti non soltanto
825 le malattie del corpo: sopraggiunge
spesso ciò che la macera riguardo
alle cose future, la tormenta
con la paura, la sfianca con le ansie,
e l’assale il rimorso per gli errori
fatti in passato. E aggiungi quel furore
che le è proprio, e l’oblio di tutto, e le onde
del letargo che nere la sommergono.
830 E dunque nulla per noi è la morte
e in nulla ci riguarda dal momento
che sappiamo che l’anima è mortale.
E come non sentimmo male alcuno
in quel tempo in cui si riversarono
da ogni parte su noi i Cartaginesi
per combattere e tutto sotto l’alta
835 volta del cielo13 fu scosso e tremò
per l’orrido tumulto della guerra
e fu incerto, per tutti quanti gli uomini
per ogni terra e mare, sotto quale
dei due regni dovessero cadere,
così, allorché più non saremo, quando
il corpo e l’anima, dal cui connubio
risultiamo, saranno separati,
840 a noi che più non saremo, di certo
nulla potrà accadere, nulla muovere
i sensi, neanche se la terra e il mare
si mischiassero, o il mare con il cielo.
E se anche poi la natura dell’animo
e la potenza dell’anima, dopo
esser state strappate via dal corpo
fossero ancora capaci di senso
845 ciò nulla avrebbe a che fare con noi
che siamo il risultato del connubio
e dell’unione del corpo e dell’anima.14
E d’altronde, se il tempo raccogliesse
dopo la morte la materia nostra
riportandola proprio dov’è adesso
e nuovamente ci venisse data
850 la luce della vita, non avrebbero
questi eventi con noi rapporto alcuno,
una volta interrotta la memoria;
ora di quel che fummo non c’è nulla
che ci riguardi né nessun tormento
da quelle vite giunge ad inquietarci.
855 Del resto se consideri lo spazio
senza fine del tempo già passato
e quanto multiformi siano i moti
della materia è facile convincerti
che gli atomi che adesso ci compongono
spesso in passato sono stati posti
esattamente nell’ordine di ora.
Tuttavia non riusciamo a ricordarcene:
s’è frapposta una pausa della vita
e lontani dai sensi, in ogni dove,
860 si sono persi tutti quanti i moti.
Bisogna pure, infatti, che perché
a qualcuno in futuro tocchi pena
e dolore, in quel tempo intanto esista
così che il male possa capitargli.
Ma tutto ciò la morte lo cancella
e non permette che esista colui
865 che possa procurarsi le sventure;
possiamo dunque sapere che nulla
c’è da temere per noi nella morte
e nulla può soffrire chi non è:
è proprio come non essere nati
quando la morte immortale ci strappa
870 la nostra vita mortale. Per cui
se vedi che qualcuno s’intristisce
perché una volta morto il suo cadavere
seppellito andrà in putrefazione
o verrà consumato dalle fiamme
o dalle bestie selvatiche, è chiaro
che non parla sincero ed ha nel fondo
del petto qualche tormento nascosto
875 benché neghi di credere che dopo
la morte in lui resterà qualche senso.
Non dà, mi pare, quello che promette
né si attiene ai principi da cui muove,
non si sradica, non si toglie via
da questa vita e in modo inconsapevole
fa permanere qualcosa di sé.
Quando da vivo qualcuno s’immagina
880 il futuro, il suo corpo dopo morto
smembrato dagli uccelli e dalle fiere
prova pietà di sé stesso, perché
non si stacca da lì, non si allontana
abbastanza dal corpo inerte, immagina
d’essere ancora in quel corpo e lo tocca
con il suo senso standogli vicino.
E s’indigna così d’esser mortale
885 e non vede che nella vera morte
non vi sarà un altro sé che possa
da vivo piangere sé stesso morto
e in piedi addolorarsi per quel sé
che giace e viene dilaniato o arso.
Se infatti dopo essere morti è un male
venire dilaniati dalle fiere
non vedo perché non sia doloroso
890 essere consumati dalle fiamme
o soffocare per il miele o ancora
intirizzirsi per il grande freddo,
distesi al sommo d’una pietra gelida
o sentirsi schiacciati dalla terra
che grava su di noi con il suo peso.
“Non più, non più ti accoglierà la lieta
895 casa, né l’ottima moglie né i dolci
figli verranno incontro a te a contendersi
un bacio né ti toccherà nel cuore
una dolcezza che non si può dire.
Non potrai più, con le fiorenti imprese,
dare sostegno ai tuoi. Misero! Misero!”
dicono. “Tutti i premi della vita
ti ha tolto un solo giorno sciagurato.”
900 E però non aggiungono: “Né ormai
c’è alcun rimpianto in te di tutto questo”.
Ché se ciò comprendessero per bene
e tenessero dietro a quel che dicono
si affrancherebbero da grande angoscia
e timore dell’animo. “Tu, come
ti sei addormentato nella morte,
905 così sarai nel tempo che rimane
senza che alcun dolore più ti tocchi;
ma noi, accanto all’orribile rogo
ti piangemmo, ormai ridotto in cenere,
senza saziarci mai; e mai verrà
il giorno che ci toglierà dal petto
questa desolazione nostra eterna”.
A costui dunque occorre domandare
910 che c’è di tanto amaro se la morte
non è infine che riposo e quiete
e per quale ragione consumarsi
lentamente in un eterno lutto.
E questo anche spesso fanno gli uomini
quando sono distesi a banchettare
con in mano la coppa e una corona
a far ombra alla fronte, che commossi
fin nel profondo dicono: “È breve
questa gioia per noi poveri umani:
915 presto sarà passata e poi mai più
si potrà richiamare”. Come se
tra i mali della morte questo fosse
quello peggiore: che la sete bruci
gli sventurati e li secchi l’arsura
o d’altra cosa ancora resti in loro
il rimpianto. Nessuno infatti quando
920 corpo e mente insieme s’assopiscono
va in cerca di sé stesso e della vita.
Ogni sonno per noi potrebbe essere
eterno né ci prende alcun rimpianto
di noi stessi; eppure, certo, gli atomi
che sono sparsi in tutto il nostro corpo
non vagano lontani da quei moti
che danno origine al senso, allorquando
925 l’uomo si strappa al sonno e torna in sé.
Molto meno dovremo ritenere
per noi dunque la morte, se può essere
meno di ciò che vediamo esser nulla;
ben maggiore è infatti lo scompiglio,
la dispersione di materia dopo
la morte, dalla quale mai nessuno
930 più si risveglia e torna, una volta
giunta la fredda pausa della vita.
Se la Natura stessa all’improvviso
prendesse la parola e apostrofasse
in questo modo qualcuno di noi:
“Che c’è, mortale, di così terribile
che indulgi ad un dolore così grande?
Perché piangi la morte e ti lamenti?
935 Se la vita trascorsa fino ad ora
è stata bella, se tutti i suoi doni
non si sono dispersi, quasi fossero
raccolti al fondo d’un vaso forato,
se non sono passati senza frutto,
perché non ti congedi dalla vita
simile a un commensale ormai ben sazio
e non accogli, o sciocco, con la pace
nell’animo una quiete così certa?
940 E se invece ogni bene l’hai sprecato
e la vita ti è in odio perché mai
vorresti avere ancora un po’ di quello
che ancora andrà perduto e passerà
senza nessuna gioia? Perché invece
non poni fine alla vita e ai tormenti?
Non c’è nulla che io possa inventare
945 o macchinare che ti dia piacere:
tutte le cose sono sempre uguali.
Se il tuo corpo non è marcio per gli anni
e le membra non sono ormai sfinite
le cose restano comunque uguali,
e sarebbe così pur se vivendo
attraversassi i secoli, e perfino
se diventassi senz’altro immortale”
cosa risponderemmo? Non è forse
quella che pone un’accusa fondata?
Non sono vere le cose che dice?
950 Se poi fosse qualcuno ormai già vecchio
a dolersi, afflitto, per l’arrivo
della morte e a lagnarsi più del giusto
non alzerebbe a ragione la voce
rimproverandolo in modo più aspro?
55 “Basta piangere, uomo senza fondo!15
Basta lamenti! Hai gustato ogni dono
della vita e adesso stai marcendo;
ma poiché cerchi sempre quel che manca
e disprezzi il presente, la tua vita
è passata incompiuta e senza gioia
e improvvisa la morte ti sta addosso
960 prima che tu sia in grado di lasciare
pieno, appagato il mondo delle cose.
Ora però abbandona ciò che estraneo
alla tua età e arrenditi sereno
al passare del tempo16: è necessario.”
Giusta accusa, mi sembra, muoverebbe,
giusti l’aspro rimprovero ed il biasimo.
Il vecchio infatti sempre cede al nuovo
965 e l’un l’altra le cose si rigenerano;
nessuno è consegnato al nero Tartaro
o all’abisso: perché crescano nuove
generazioni occorre la materia;
e tutte a loro volta, consumata
la vita avranno la tua stessa sorte
e non saranno di meno a morire
di quelle morte prima che tu fossi.
970 Sempre una cosa nascerà dall’altra:
la vita è stata data in usufrutto
a tutti, ma a nessuno in proprietà.
Guarda il nulla che è per noi l’eterno
antico scorrere del tempo prima
che noi nascessimo: è questo lo specchio
975 in cui ci mostra la natura il tempo
che passerà dopo la nostra morte.
Vi appare forse qualcosa di orribile?
O qualcosa di triste? Non è forse
un stato più calmo di ogni sonno?
E invero tutte le cose che dicono
trovarsi giù nell’Acheronte sono
invece tutte nella nostra vita.
980 Non, come dicono, il misero Tantalo
intorpidito da un vuoto terrore
teme l’enorme masso che gli pende
sulla testa; piuttosto nella vita
una vana paura degli dei
non dà pace ai mortali e ognuno teme
il colpo che la sorte gli riserva.
Né penetrano gli uccelli in Tizio, steso
985 nell’Acheronte; nel suo petto vasto
del resto non potrebbero trovare
in eterno qualcosa in cui scrutare;
se anche il suo corpo si estendesse immenso
tanto che le sue membra ben distese
coprissero non solo nove iugeri
ma tutto quanto il globo della terra
990 tuttavia non potrebbe sopportare
un eterno dolore né fornire
con il suo corpo cibo sempre nuovo.
Ma Tizio è qui: sconfitto dall’amore
lo straziano gli uccelli lo divora
l’angoscia o a causa di qualche altra brama
è lacerato, in preda all’inquietudine.
995 Anche Sisifo è in questa vita, avanti
agli occhi nostri: è quel tale che aspira
ad ottenere dal popolo i fasci
e le scuri crudeli ed ogni volta
si ritira sconfitto e sconsolato.
Cercare infatti un potere che è vuoto
e non viene mai dato, e a causa di esso
sottoporsi a un tormento ininterrotto
1000 è lo stesso che spingere a fatica
su per un monte un sasso che raggiunta
la cima subito rotola in basso
e in men che non si dica giunge al piano.
Ed ancora: nutrire di continuo
la mai contenta natura dell’animo,
darle ogni bene senza mai saziarla
1005 - quello che fanno con noi le stagioni
che tornano seguendo il loro ciclo
portandoci primizie e grazie varie
senza però che i frutti della vita
bastino mai a placarci - mi sembra
che sia il mito di quelle fanciulle 17
nel pieno fiore della giovinezza
che raccoglievano l’acqua in un’anfora
1010 che non era possibile riempire
perché forata. Cerbero e le Furie
e il buio e il Tartaro che erutta fiamme
orribili non sono in nessun luogo
e nemmeno è possibile che esistano;
in questa vita invece c’è il terrore
delle pene per le cattive azioni,
1015 più grandi quanto più quelle son gravi,
e del castigo per ogni delitto:
il carcere, il lancio spaventoso
giù dalla rupe, frustate, carnefici,
e cavalletti, pece, lame, torce.
Se pure queste cose sono assenti
la mente consapevole del male
compiuto in preda all’ansia si punisce
da sé e si infligge frustate brucianti,
1020 e non sa quando mai tali tormenti
avranno fine, quando cesseranno
tali pene e ha il terrore che la morte
stessa le renda ancora più terribili.
Questo è l’Inferno in vita degli sciocchi.
Potresti a volte poi dire a te stesso:
1025 «Chiuse gli occhi alla luce anche il buon Anco18
che in tante cose fu meglio di te
o sfacciato; e sono poi caduti
molti altri re ed uomini potenti
che dominarono grandi nazioni.
E anche colui19 che un tempo aprì una strada
1030 sul vasto mare e mostrò alle legioni
il modo per passare sugli abissi
e andare a piedi sulle acque salmastre
e sprezzò il fragore delle onde
con cavalli scalpitanti persa
la luce versò l’anima dal corpo
preso ormai dalla morte. Ed il terrore
di Cartagine, il fulmine guerriero,
1030 Scipione20, consegnò le ossa alla terra
come se fosse l’ultimo dei servi.
Aggiungi poi i maestri nelle scienze
e nelle arti e i seguaci delle Muse
fra i quali il solo Omero ebbe lo scettro:
sopito anch’egli nel sonno di tutti.
E Democrito poi: quando s’avvide
1040 che per l’età avanzata ormai languivano
i moti collegati alla memoria
da sé scelse la morte e le offrì il capo.
Morì lo stesso Epicuro, trascorsa
la luce della vita, lui che tutti
gli umani ha superato ed oscurato 21
con il suo ingegno, come in cielo il sole
fa con le stelle, una volta che è sorto.
1045 Tu esiterai e sdegnerai la morte?
Tu la cui vita è a un passo dalla morte
anche ora che sei vivo ad hai la vista
e butti via nel sonno il miglior tempo,
tu che russi anche sveglio e non la smetti
di veder sogni ed hai la mente piena
d’angoscia per paure senza senso
1050 e spesso neanche riesci a capire
di quale male soffri quando ubriaco
e infelice ti pressano gli affanni
da ogni parte e vaghi incespicando
nell’incerto ondeggiare della mente.
Se, come è chiaro che sentono dentro
di sé, nell’animo, un peso che grava
e li tormenta, gli uomini potessero
1055 saperne pure le cause e da dove
venga una tale massa di dolore
che sta nel cuore non trascorrerebbero
la vita come per lo più vediamo:
nessuno sa davvero quel che vuole
1060 e sempre cerca di cambiare luogo
come se ciò servisse a liberarsi
dal suo peso. Esce spesso dalle grandi
sue dimore colui che prova tedio
a stare in casa e presto torna dentro
perché si accorge che fuori non sta
affatto meglio. Spronando i cavalli
di furia si precipita alla villa
1065 quasi dovesse spegnere un incendio.
Toccata appena la soglia, sbadiglia
o cade addormentato come un sasso
e ricerca l’oblio o ancora anela
la città e si affretta per tornare.
Così ognuno fugge da sé stesso;
ma, come accade, a sé non può sfuggire
e vi resta attaccato con fastidio,
1070 con odio ché del male che lo affligge
non afferra la causa. Se per bene
la vedesse, lasciata ogni altra cosa,
in primo luogo vorrebbe conoscere
la natura, perché è in discussione
la condizione non di un’ora sola
ma dell’eternità, in cui i mortali
1075 saranno in qualche modo in tutto il tempo
che resterà dopo la loro morte.
E cos’è infine questa insana sete
di vivere che fino a tale punto
ci fa tremare tra incerti pericoli?
Certa è la fine che attende i mortali,
1080 non possiamo evitare d’incontrare
la morte. E d’altra parte qui giriamo
in tondo fermi sempre dove siamo
né continuando a vivere è forgiato
qualche piacere nuovo; sempre quello
che non abbiamo ci sembra migliore
d’ogni altra cosa, ma appena l’abbiamo
ottenuto cerchiamo qualcos’altro:
1085 è la medesima sete di vita
che sempre ci fa stare a bocca aperta.
Che futuro ci attende non sappiamo,
che arrecherà la sorte, quale fine.
Né prolungando la vita è possibile
diminuire il tempo della morte
o anche solo scalfirla e in qualche modo
cercare d’esser morti meno a lungo.
1090 Se anche vivendo accumulassi i secoli
la morte non sarebbe meno eterna
né chi oggi ha finito la sua vita
resterà nella morte meno a lungo
di chi da molti mesi o anni è spento.
rerum inventor. Letteralmente: scopritore delle cose. Ciò che Epicuro ha scoperto è l’effettiva realtà delle cose, ossia la loro struttura atomica. ↩
Lacuna nei manoscritti. Evidentemente manca un verso in cui Lucrezio parla di alcuni che sostengono che… ↩
“Viene in mente quel giochetto dei nostri monelli, che (anni addietro) nel giorno di S.a Croce, con una crocetta di panno sporco di gesso, gettata (concussam) alle spalle della gente, vi lasciavano l’impronta d’una croce bianca, senza che lo sporcato s’avvedesse. Certo Lucrezio si riferisce a qualche caso simile” (Giussani). ↩
La parte finale del verso 444 è corrotta. Deufert legge inchohibentist, seguendo un suggerimento di P.T. Eden, il quale osservava che incohibens comparirebbe solo qui in tutta la letteratura latina, ma la cosa non sorprende in Lucrezio, che è autore che fa spesso ricorso a neologismi, come ad esempio inolens (Lucretius 3.444, in “Classical Philology”, Volume 72, Number 3, Jul., 1977). Altri leggono incohibescit. ↩
I versi 474 e 475 sono unanimemente considerati interpolati. ↩
Cfr I, 670-671 e II, 753-754. ↩
Deufert: scinditur atque abit haec quoniam natura nec uno. I codici hanno scinditur atque animo, emendato con animae già da Denis Lambin (Lambinus). Seguo questa lezione. ↩
“animo male factum cum perhibetur / aut animam liquisse”. Come osserva Guido Milanese, sulla scorta di Bailey, le espressioni di Lucrezio sono probabilmente “di stampo popolare, e sicuramente idiomatico”. Sceglie dunque di tradurre con espressioni di valore equivalente (“ha perduto coscienza / o che ha avuto un malore”), anche se va perdura la differenza tra animus e anima. ↩
Un tipo di arma che non appartiene alla tradizione romana, ma cui accennano Senofonte e Livio come arma orientale. ↩
Testo tradìto: subitis e. Emendamento del Clark. ↩
Regione antica situata a sud del Mar Caspio. I cani di questa regione erano considerati particolarmente feroci, probabilmente un antico ceppo di mastini asiatici. ↩
Segue nei manoscritti una lacuna. ↩
aetheris oris. Emendamento al posto di auris. ↩
Un’anima dotata di senso separata dal corpo, anche ammesso che possa esistere, sarebbe una cosa diversa da noi, poiché noi siamo insieme corpo e anima. La sua stessa capacità di sentire, dunque, non ci riguarderebbe; sarebbe un essere altro da noi. ↩
I codici hanno baratre, inteso nel senso di uomo che merita di essere gettato di un baratro, o che in un baratro getta i suoi beni (lo spreco di vita dei versi precedenti). Nella traduzione cerco di rendere la vacuità del soggetto e la sua insaziabilità. ↩
I codici hanno magis. Seguo la proposta iam annis. ↩
Si tratta delle cinquanta figlie di Danao, condannate da Zeus a riempire appunto una grande anfora forata. ↩
Anco Marzio, il quarto re di Roma. ↩
L’allusione è a Serse I di Persia, che secondo la tradizione fece costruire un ponte di barche sull’Ellesponto durante la seconda spedizione contro la Grecia. ↩
Naturalmente si tratta di Publio Cornelio Scipione, vincitore di Annibale. ↩
Restinxit. Una scelta verbale che appare in contrasto con la figura di Epicuro portatore di luce; qui invece oscura, mette in ombra il resto dell’umanità. ↩