Ho detto che, secondo la dottrina del karman, scontiamo nella vita o nelle vite seguenti le conseguenze delle nostre azioni negative, così come otteniamo la ricompensa per quelle positive. Ho dimenticato di dirti che la punizione o retribuzione può avvenire anche in un inferno o in un paradiso. Il buddhismo ha, riguardo all’inferno (anzi, agli inferni), una fantasia non minore di Dante Alighieri. Per essere precisi bisognerebbe chiamarli purgatori, perché sono transitori e servono a scontare le colpe per poi tornare ad incarnarsi in una forma terrena. Il termine pali è niraya. In questi purgatori buddhisti è possibile essere arrostiti, impalati, schiacciati, fatti a pezzi per diverse migliaia di anni. Una particolarità del buddhismo è che esistono anche paradisi freddi, nei quali gli esseri attraversano nudi distese di neve e ghiaccio e cose simili. Una punizione per il male compiuto può consistere anche nel nascere nel mondo degli animali o in quello degli spettri. Ma ci sono anche paradisi nei quali è possibile godere dei frutti delle buone azioni. Anche essi, però, sono temporanei: una volta esauriti i frutti si torna sulla terra. La cosa – considerala una parentesi – ha una sua logica. Siamo esseri limitati, qualunque azione compiamo, sia essa buona o cattiva, merita sempre ricompense o premi limitati. Non c’è male talmente grande da meritare una punizione infinita; sostenerlo significa negare la finitezza umana. Per aver fatto osservare questa semplice evidenza il filosofo Luigi Lombardi Vallauri è stato cacciato dalla Università Cattolica di Milano, in cui insegnava. Questo è anche il motivo per cui il Buddha non ritiene sufficiente vivere compiendo buone azioni. Dopo essere stati in qualche paradiso si torna sulla terra e il ciclo delle esistenze, con il suo carico di sofferenza, ricomincia.
Non è un caso che mi sia dimenticato di parlarti degli inferni e dei paradisi buddhisti. Sono un razionalista, tutto questo mi infastidisce molto. Mi piace pensare che si tratti di mezzi utili che il Buddha utilizzava per allontanare dal male le persone più semplici, o ancora – e meglio – di bizzarrie inventate da chi è venuto dopo di lui, per la tendenza innata che abbiamo al fantastico.
Vediamo intanto un po’ meglio come funziona il karman. Il Buddha, come abbiamo visto, non ha inventato l’idea, ma l’ha in qualche modo ripensata. Il suo contributo più interessante riguarda l’enfasi sull’intenzione (cetana). Una azione di per sé non può essere considerata morale o immorale, se non si analizza l’intenzione con cui è stata compiuta. Anche la più terribile delle azioni può essere un atto d’amore. Nel film Amour di Peter Haneke l’anziano Georges si prende cura della moglie Anne, colpita da un ictus. La malattia invade progressivamente e inesorabilmente la vita della moglie, togliendole ogni giorno un pezzo di umanità. Un giorno Georges decide di mettere fine alla sua sofferenza soffocandola con un cuscino. Il titolo del film suggerisce che quello è un gesto d’amore, e io sono d’accordo. Se fossi nelle condizioni di Anne, io vorrei essere ucciso. E vorrei che lo facesse chi mi ama. La considererei la più grande dimostrazione d’amore.
Molti non sono d’accordo. Per quelli che credono nella sacralità della vita umana uccidere è sempre un crimine, o meglio un peccato, per usare il loro linguaggio. Sono sicuro che nemmeno loro, tuttavia, negheranno che in casi simili le intenzioni (discutibili dal loro punto di vista) siano positive.
Vedi dunque che la questione è complessa e difficile. Certo, un’azione è morale se è morale l’intenzione, che può rendere morale anche un’azione apparentemente immorale come l’uccisione. Ma come stabilire quali intenzioni sono morali e quali no? Chi giudica l’intenzione? In una società come la nostra i codici morali sono diversi, spesso in contrapposizione tra di loro. Se si crede che la legge morale operi in modo immediato, si presuppone che ci sia un codice morale universale, nel senso letterale del termine: iscritto nell’universo. Ma come conoscerlo? Come essere sicuri che la nostra intenzione sia giusta? Come esserne sicuri oggi, che le condizioni della nostra vita sono cambiate radicalmente, anche grazie alla tecnologia? E come si spiega che l’universo abbia un meccanismo morale così infallibile e così raffinato da tener conto anche dell’intenzione con cui agiamo, se non esiste un Dio buono che l’ha creato e che lo governa?
Ma i problemi legati alla dottrina del karman non finiscono qui.