Svaha!

Angulimala

Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.

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Riguardo al fermarsi devo raccontarti una storia. È una storia che certamente non è vera, ma non è, credo, nemmeno falsa, e questa, di non essere né vere né false, mi sembra essere una caratteristica particolare delle storie buddhiste. Ragioneremo poi della verità nel buddhismo. Ascolta intanto. Una volta il Buddha soggiornava nel boschetto di Jeta. Nella zona c’era un terribile brigante che si chiamava Angulimala. La sua crudeltà era scolpita nel suo stesso nome, perché Angulimala in lingua pali significa “collana di dita”. Le dita erano quelle dei malcapitati che uccideva e che a quanto pare usava come trofeo, mettendosele al collo. Un mattino il Buddha, dopo aver fatto il suo giro per chiedere l’elemosina, mangia qualcosa, poi prende ciotola e mantello e si incammina verso Angulimala. I pastori lo vedono e cercano di avvisarlo. Via di la! Lì c’è Angulimala! Il Buddha procede tranquillo. In silenzio.

Come una bestia feroce, Angulimala fiuta la preda, la segue e fa per aggredirla. Ma questa volta accade qualcosa di strano. Per quanto corra, non riesce a raggiungere il Buddha, che invece continua a camminare tranquillo. Allora Angulimala si rivolge al Buddha e gli ordina di fermarsi. E il Buddha risponde senza scomporsi: “Io mi sono fermato, Angulimala, fermati anche tu”. Il povero Angulimala resta confuso. Lui corre, il Buddha cammina piano; che vuol dire che il Buddha si è fermato e lui no? Il Buddha glielo spiega. Secondo le fonti glielo spiega in versi, ma noi possiamo dubitare della cosa, senza che cambi granché. Io, dice, mi sono fermato per sempre perché mi astengo da ogni forma di violenza; tu invece sei senza freni verso ciò che vive.

Queste parole hanno un effetto profondo su Angulimala. Comprende che non sono parole come le altre, che contengono un insegnamento profondo, e che quell’insegnamento è per lui. Commosso, getta le sue armi, rende omaggio al Buddha e, impegnandosi a rinunciare per sempre alla violenza, gli chiede di ordinarlo monaco. Il Buddha lo prende con sé e ne fa uno dei suoi principali discepoli. Secondo le fonti buddhiste, Angulimala diventerà un arhant, uno che ha raggiunto l’illuminazione. Dalle fonti veniamo a sapere anche un’altra cosa importante. Come è facile intuire, Angulimala è un nome d’arte, per così dire. Ora senti un po’ quale era il suo vero nome: Ahimsaka. Ahimsa vuol dire non-violenza. Ahimsaka significa il Nonviolento. O, se preferisci, l’Innocente.

Penso che all’origine di questa storia improbabile ci sia un apologo raccontato dal Buddha, che poi i suoi discepoli hanno trasformato in storia. Il Buddha voleva forse raccontare la storia di un uomo che torna a casa. La casa rappresentata dal suo nome. Angulimala si è convertito al bene perché fin dall’inizio era buono. E non è questo forse il caso di tutti? C’è forse un fondo di bontà in ognuno di noi, al quale possiamo tornare in qualsiasi momento. Non so se questo è vero, non ci giurerei. So che è bello crederlo, e se proprio vogliamo credere a qualcosa, meglio credere a questo che ad altro. Non escludo che credere in questa originaria bontà possa effettivamente rendere il mondo migliore.

C’è un’altra cosa singolare nel sutra che parla di Angulimala. Ormai monaco, anzi venerabile, Angulimala una mattina torna dalla questua e racconta al Buddha di aver assistito ad una scena che lo ha commosso e turbato: una donna stava dando alla luce un bambino deforme.1 Il Buddha lo incita a tornare dalla donna. Dovrà dirle che da quando è nato lui, Angulimala, non ha intenzionalmente tolto la vita a nessun essere vivente. Angulimala è perplesso. Non si tratterebbe di dire il falso? Non è forse stato un assassino? Il Buddha tuttavia insiste, e Angulimala non può che obbedirgli. Torna dalla donna, le dice quella che gli sembra una menzogna, e scopre che quelle parole hanno un effetto miracoloso: il bambino guarisce.

Ci sono diversi modi di interpretare questa storia. La prima è che Angulimala non ha detto il falso perché la sua vera nascita è avvenuta quando ha incontrato il Buddha e si è convertito. Da allora non ha ucciso nessun essere vivente; e quello che ha fatto prima non conta. Una diversa interpretazione può venire dalla considerazione dell’avverbio: intenzionalmente. Angulimala ha certo ucciso molta gente, ma si può dire che lo abbia fatto intenzionalmente? Conosceva il bene, in modo da potergli preferire il male? E se non lo conosceva, era davvero intenzionale il suo fare il male? Chi conosce il bene non può che fare il bene, dirà Socrate qualche anno dopo la morte del Buddha.

È possibile forse una terza interpretazione, secondo la quale Angulimala è innocente, non ha fatto del male, pur avendo ucciso. O, detto altrimenti: pur avendo ucciso, non ha davvero ucciso. Torneremo sulla questione, credo, quando ti parlerò del Sutra del Cuore.

  1. Angulimalasutta, Majjhima Nikaya, 86, in RB1, pp. 488-489. Claudio Cicuzza, autore della traduzione di questo sutra, intende che la donna stava dando alla luce un figlio deforme; secondo altri traduttori si trattava (più plausibilmente) di un parto podalico.