Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.
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Qualche pagina fa ho accennato ad alcuni filosofi occidentali che hanno cercato un rimedio alla sofferenza. È una ricerca che caratterizza la filosofia antica, greca e latina, e viene travolta poi dall’avvento del cristianesimo: dal momento che nella fede in Cristo c’è la salvezza, non occorre nessuna altra indagine. La questione riemerge dopo il Rinascimento, quando la morsa del cristianesimo sull’Europa, per così dire, si allenta, e si comincia a pensare in modo diverso. Nel Seicento il tema torna nel Trattato sull’emendazione dell’intelletto di Spinoza. Dopo che l’esperienza mi insegnò che le cose che succedono nella nostra vita, scrive nella prima pagina dell’opera, sono vane, e di per sé non hanno nulla di buono né di cattivo, mi misi a cercare “se esistesse qualcosa che, una volta trovato e acquisito, mi facesse godere in eterno di una continua e somma letizia”.1 È l’antica questione, che riemerge però con un nuovo ottimismo: non si tratta più, solo, di sottrarsi alla sofferenza o ai colpi della sorte alterna, realizzando un distacco interiore che ci consenta di non esserne travolti, ma di conquistare una gioia perfetta, di stabilirsi in essa. E tutto questo – poiché Spinoza è un filosofo – senza rinunciare alla ragione, anzi grazie alla ragione.
Ma come? La risposta di Spinoza è nella sua Etica. Si tratta di vedere il mondo in modo radicalmente diverso. O meglio: di considerare in modo radicalmente diverso il nostro rapporto con il mondo. C’è una Sostanza, che Spinoza chiama Dio, ma che non ha nulla a che fare con il Dio ebraico-cristiano e che è null’altro che la Natura, e noi non siamo che parti minime, infinitesimali di questa Sostanza. Noi, gli altri. Diversi modi, per usare i suoi termini, della stessa Sostanza. Profondamente uniti, tutti, nell’Essere. Questa visione che ci conduce oltre le ristrettezze dell’ego la chiama amor Dei intellectualis, amore intellettuale di Dio. Una espressione contraddittoria, ma solo apparentemente: è attraverso la ragione, l’intelletto, che il nostro cuore si allarga e riusciamo a vivere nell’amore, nella solidarietà, nell’unione con gli altri.
Ci sono in Spinoza due sentieri, profondamente intrecciati. Il primo è quello della ragione, della filosofia, della visione del mondo; il secondo è quello dell’azione, della morale, della libertà dalle passioni, della vita giusta, oltre che felice (felice perché giusta e giusta perché felice). La via della saggezza e la via dell’etica. Il sentiero buddhista – il nobile sentiero in otto parti – aggiunge a queste due direzioni una terza, propria dell’India: la via della meditazione.
B. Spinoza, Trattato sull’emendazione dell’intelletto, 1, a, in Tutte le opere, a cura di A. Sangiacomo, Bompiani, Milano 2010-2011, p. 111. ↩