Svaha!

Il cuore

Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.

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Ti ho detto che da adolescente credevo nella reincarnazione (metempsicosi, per essere più precisi), e che in questa visione trovavo soprattutto la possibilità di una liberazione, di una salvezza per tutti. Non subito, magari. Qualcuno avrebbe dovuto attraversare migliaia di vite, soffrire, provare sulla sua pelle l’umiliazione che in altre vite ha inflitto al prossimo, ma attraverso un secolare, millenario processo educativo tutti sarebbero giunti alla verità. Ora, come ti ho detto, non credo più nella metempsicosi, come non credo in generale in una vita dopo la morte. Trovo molto triste, però, che quelli che credono, credano per così dire in piccolo. Che credano in una liberazione che separa in due il mondo umano, che manda di qua alcuni e di là altri. L’esistenza di un mondo dei salvati, il paradiso, e di un mondo dei dannati, l’inferno, entrambi eterni, mi pare una ferita nella realtà incompatibile con la natura di Dio. E mi sembra che sia un’idea nata da un cuore non grande: da un cuore che non è riuscito a liberarsi dal peso della vendetta.

La liberazione di tutti, sì, sarebbe una bella cosa. Ma come pensarla, se siamo qui? Se oltre questa nostra vita – così breve, eppure così tormentata – non c’è nulla? Chi si salva?

Qualche secolo dopo la morte del Buddha, il buddhismo è giunto ad elaborare la dottrina del tathagatagarbha. Si può tradurre con natura o cuore di Buddha; Tathagata è un appellativo del Buddha che abbiamo già incontrato: colui che è andato così (ricordi il gate gate del Sutra del Cuore?). L’idea è semplice: ognuno di noi ha in sé la possibilità di diventare un Buddha. Una possibilità che fa parte della sua natura. Le immagini usate per indicare questa natura, questo cuore nascosto sono eloquenti: un seme nel suo baccello, un tesoro sepolto sotto terra, una statua preziosa coperta di argilla. C’è in ognuno di noi un nucleo, un cuore luminoso, una possibilità di liberazione. Non so se sia vero, e probabilmente non è questo il punto (ti ho detto che nel buddhismo le concezioni sono salutari o non salutari, più che vere o false), ma mi sembra una idea bellissima. E qualcosa che può cambiare la nostra vita sociale, oltre che il rapporto con noi stessi. Forse non c’è alcun nucleo luminoso in me, ma pensarlo mi aiuta a considerare la rabbia, il rancore, la tristezza come elementi superficiali, contaminazioni che posso rimuovere. E nella relazione con l’altro posso fare la stessa cosa. Non fermarmi alla meschinità, alla volgarità, alla deformazione morale che molti esibiscono quasi come un vanto; dire a me stesso che dietro, sotto quell’involucro c’è qualcosa di prezioso. E cercare di rimuovere la polvere, far affiorare la pietra preziosa.

L’occidente ha pensato qualcosa di non troppo diverso parlando di dignità umana. L’uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio porta in sé la traccia di questa origine anche quando immiserisce sé stesso. Ed è per questo che gli dobbiamo rispetto, pur quando sembra che nulla abbia di rispettabile. Rispettiamo in lui la luce dell’umano. È una idea che ha i suoi limiti, poiché esalta l’umano contro l’animale. Se bisogna rispettare nell’uomo l’umano, quanta violenza sarà possibile compiere sull’animale, che quella luce non l’ha? Bisognerebbe parlare piuttosto del valore e della dignità della vita in generale. Nel caso del buddhismo c’è continuità tra animale e umano, poiché il ciclo delle nascite conduce dagli uni agli altri; e dunque anche l’animale può raggiungere la liberazione.

Io però non credo nella rinascita. Non ci sarò più, dopo la mia morte, non ci saranno le persone che amo e non ci saranno tutti quelli che incontro ogni giorno. Se c’è un tesoro sepolto, occorre che venga riscoperto ora. Se c’è una possibilità per me e per tutti di non soffocare nella propria melma, esigo che si lotti ora perché essa diventi realtà. Ed è una cosa che ha a che fare con la politica. Perché quella luce, quel seme, quella pietra preziosa sono spesso soffocati non dalla miseria che accompagna l’ego di tutti, ma dal peso dei condizionamenti sociali, della disperazione dovuta alla povertà, alla ingiustizia, alla marginalità e al rifiuto sociale. Quotidianamente infiniti semi, infinite luci vengono travolti, schiacciati, spenti dalla macchina sociale. Infiniti Buddha muoiono prima ancora di essere nati.