Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.
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Siamo in un’epoca in cui non molti, in occidente, vogliono sentir parlare di religione. È diffusa la convinzione che le religioni abbiano portato nel mondo soltanto ignoranza, superstizione, odio, distruzione. È una convinzione condivisibile, se si toglie quel “non solo”: perché nell’ambito delle religioni sono sorte anche cose ammirevoli. Non, magari, il massacro (qualcuno parla di olocausto) degli indiani d’America, con la benedizione dei missionari cristiani, e nemmeno la distruzione dei templi delle altre religioni o l’uccisione sul rogo degli eretici; quando si resta incantati davanti ad una cattedrale gotica, non si può però fare a meno di pensare che quell’opera non sarebbe stata possibile senza una profonda intuizione religiosa. In ogni caso, se si mettesse su un piatto della bilancia il bene portato all’umanità dalle religioni e sull’altro il male, molto probabilmente la bilancia penderebbe dalla parte del male.
Non scrivo queste pagine, dunque, per convertirti alla religione buddhista. Penso che si viva meglio senza una religione, ossia senza riti, chiese, superstizioni, pretese autorità religiose che ci dicono cosa dobbiamo o cosa non dobbiamo fare. Credo nell’autonomia, nell’intelligenza, nella libertà dell’individuo, tutte cose che le religioni per lo più disprezzano e combattono. Sono anche convinto, però, che ognuno di noi abbia bisogno di una visione del mondo e della vita. Ci sono domande che ci tormentano fin da quando acquisiamo la ragione. Perché viviamo? Perché esiste il male? Cosa è giusto fare? Quale è il modo migliore di vivere? Queste domande sono così difficili perché la vita è dannatamente breve, ed il tempo che abbiamo per dedicarci alla riflessione non è molto. C’è sempre qualcosa di più urgente di cui occuparci: gli affetti, il lavoro, le relazioni sociali. E così accade a molti di giungere alla vecchiaia senza averci capito molto.
La religione nasce per rispondere a queste domande. Ma lo fa a modo suo: con i miti, con i dogmi, con le autorità che pensano al posto nostro. Con la fede, che prende il posto della ragione. C’è da sospettare che sia una soluzione peggiore del male che vuole curare, e basta passare qualche minuto in compagnia di una persona veramente religiosa per rendersene conto.
La filosofia è una alternativa alla religione. Cerca una risposta alle nostre domande, ma senza sostituirsi a noi. Il filosofo – quando non è anche lui un fanatico – è uno che ci aiuta a ragionare ed a trovare la nostra risposta alle domande comuni. Purtroppo con i secoli la filosofia sembra aver perso questa sua funzione ed è diventata una disciplina specialistica, di cui ci si occupa nel chiuso delle università, e che poco ha da dire alle persone comuni. Non era così nell’antichità, quando i filosofi erano maestri di vita e come tali erano riconosciuti da coloro che si ponevano domande.
Nelle pagine che seguono ti parlerò del buddhismo come filosofia, più che come religione. Non è una forzatura, la mia. Il buddhismo è una religione un po’ diversa dalle altre. Tanto per cominciare, non ha nulla a che fare con la fede in un Dio creatore. In questo senso, il buddhismo è pienamente ateistico. Non è l’unica religione ateistica: lo è anche, in India, il jainismo, e poco a che fare con Dio ha anche il Tao, il principio del taoismo. In secondo luogo, l’insegnamento del Buddha non si presenta come una verità rivelata, nella quale bisogna credere, ma come un’analisi della situazione umana, della sofferenza che ognuno di noi prova e delle sue cause, delle possibili vie d’uscita. Una analisi che ognuno può, anzi deve esaminare con la sua ragione, e non accettare con un atto di fede.
Dall’insegnamento del Buddha storico sono sorte molte scuole. Il suo messaggio si è diffuso dall’India al Tibet, dalla Thailandia e Birmania alla Cina e al Giappone, e negli ultimi decenni è giunto anche in occidente. Sono sorte forme di buddhismo molto diverse tra loro: quello theravada (degli anziani), diffuso principalmente in Thailandia, Birmania, Sri Lanka, quello vajrayana (del diamante) proprio del Tibet, il chan cinese e lo zen giapponese. Parlarti anche solo per sommi capi di tutte queste scuole non è qui possibile, così come non è possibile fare una storia del buddhismo. Nella prima parte vedremo le concezioni di base, comuni a tutte le scuole; mi soffermerò poi su alcune figure e scritti che vanno oltre l’insegnamento del Buddha storico e che gettano le basi per i diversi sviluppi successivi del buddhismo. In conclusione ragionerò sulle possibilità di un buddhismo occidentale.