Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.
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Al tempo del Buddha l’India era tutto un fremere di discussioni, analisi, polemiche riguardanti la liberazione. La tradizione aveva codificato una visione del mondo centrata sulla dottrina del karman, sul sacrificio, su una complessa visione del Divino, sull’autorità dei testi sacri (i Veda) e, dal punto di vista sociale, sul sistema della caste. Contro questo sistema religioso e ideologico si ergevano gli shramana, al tempo stesso mendicanti, asceti, filosofi e capi religiosi, con al seguito centinaia, spesso migliaia di seguaci, e in competizione tra loro. Il più noto, oltre il Buddha, è Mahavira, il fondatore del jainismo, la religione della nonviolenza. C’erano poi Ajita Kesakambali, materialista ed ateo, che a quanto pare se ne andava in giro con un abito fatto di capelli umani e che negava la vita dopo la morte, Makkhali Gosala, fondatore della religione degli ajivika, che sosteneva che la liberazione giunge per tutti alla fine di un ciclo cosmico, indipendentemente dalle azioni compiute, e Sanjaya Belatthiputta, che negava la possibilità stessa di conoscere la verità. Noi occidentali consideriamo Pirrone di Elide il fondatore dello scetticismo, e per quanto gli scettici non abbiano troppi seguaci, riteniamo lo scetticismo una delle espressioni della libertà intellettuale che dai tempi di Atene si è sviluppata sul nostro continente. Sappiamo però che Pirrone fu in India al seguito di Alessandro Magno e che lì incontro i ginnosofisti, sapienti nudi, dai quali imparò molto. Se non fossimo così orgogliosi della nostra originalità filosofica, prenderemmo in considerazione l’ipotesi che Pirrone abbia imparato lo scetticismo dai seguaci di Sanjaya, o anche dai suoi oppositori.
In base a quanto s’è detto sulla zattera, si potrebbe concludere che anche il Buddha fosse uno scettico. Se la dottrina è uno strumento vuol dire che non è vera, o almeno che non ha una sua verità intrinseca. Ma nulla è più lontano dal pensiero del Buddha dell’affermazione che non esiste la verità, o che tutte le tesi sono sullo stesso piano. Il suo punto di partenza è la constatazione dell’esistenza della sofferenza. Essa è una verità che nessuno può negare, che ognuno può verificare da sé. Verificabile anche, ma in modo diverso, è l’altra verità centrale del Dharma, quella della possibilità di liberarsi da questa sofferenza, dal disagio che caratterizza la nostra condizione. Tra l’una e l’altra, tra la verità della sofferenza e la verità della liberazione, c’è un percorso che è simile a quello del malato verso la sua guarigione. In questo percorso la categoria fondamentale non è quella di vero, opposto a falso, ma quella di salutare (kusala) opposto a non salutare (akusala). È questo il criterio per distinguere una teoria dall’altra, una convinzione dall’altra, una affermazione dall’altra. A cosa conduce? Ci orienta verso la fine della sofferenza o è a sua volta causa e origine di sofferenza? Serve alla liberazione oppure la ostacola?