Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.
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Elena non era troppo amata dai greci. La si accusava di essere causa della guerra di Troia, ossia della più grande tragedia del mondo classico. In qualche modo, la sua figura ricorda quella di Eva, cui il mondo ebraico-cristiano attribuisce la caduta dal paradiso. In comune hanno un pomo. Secondo il mito la dea della discordia, Eris, durante il banchetto per il matrimonio di Peleo e Teti scagliò una mela “per la più bella”. Ma chi era la più bella? Scoppiò la discordia tra Afrodite, Era e Atena, dalla quale ci saremmo aspettati maggiore saggezza. L’ingrato compito di decidere cadde sulle spalle di Paride, che le tre dee cercarono di ingraziarsi promettendogli il meglio che avevano da offrire. Era gli promise il potere, Atena la sapienza, Afrodite l’amore di Elena, la più bella delle donne. E Paride, che era un romantico ante litteram, scelse Afrodite.
Non sono a conoscenza di autori antichi che abbiano preso le difese di Eva, la cui presunta colpa ha giustificato per secoli il maltrattamento delle donne nell’occidente cristiano. Un importante filosofo greco, invece, ha preso le difese di Elena. Perché Elena ha abbandonato Menelao, partendo per Troia con Paride?, si chiede Gorgia nel suo Encomio di Elena. Può essere che sia avvenuto per volere degli dei o che sia stata rapita con la forza, o ancora che sia stata irretita da Paride con la forza delle parole. In tutti questi casi è evidente la sua innocenza. Se è stato per volere degli dei, quale colpa le si può attribuire? Può forse un essere umano resistere a un dio? Se è stata rapita, evidentemente è vittima e non colpevole. Ma a noi – e allo stesso Gorgia – interessa soprattutto la terza ipotesi. Può essere che Elena sia stata convinta da Paride a seguirla con la forza delle parole. Ora, c’è davvero differenza tra l’essere rapiti fisicamente e l’essere rapiti con le parole? Per Gorgia no. Il fine del suo discorso è proprio dimostrare che le parole hanno un potere immenso, che con le parole è possibile avere potere sulle persone non meno che con la forza fisica. “L’anima viene tutta presa nell’irresistibile magia del discorso, ne viene compenetrata e trasformata. Dalla magia e dalla potenza ingannatrice della parola si sono ricavate due arti, quella di traviare la mente e l’altra d’ingannare l’opinione pubblica”, scrive. 1 La verità delle parole di Gorgia è evidente più che mai dopo il Novecento, il secolo nel quale feroci dittatori hanno irretito interi popoli spingendoli verso guerre sanguinosissime, crimini efferati, azioni che restano come macchia indelebile nella storia dell’umanità. Parole cariche di odio, parole che costruivano un noi e un loro, che fondevano gli individui in una massa delirante e li scagliavano, come cani da caccia, contro il nemico.
Sappiamo bene, però, che le parole non sono solo questo. Con le parole possiamo carezzare le persone, consolarle, aiutarle, consigliarle; con le parole possiamo fare poesia, cercare e dire la verità, evocare il bene. Gorgia ne è consapevole: “Si può dire che la parola sta all’anima come la medicina al corpo. Infatti, come alcuni farmaci eliminano dal corpo queste o altre indisposizioni, e certi guariscono, altri uccidono, così le parole: alcune affliggono, altre dilettano, altre incutono terrore, altre infiammano chi ascolta, altre infine stregano e avvelenano l’anima, con i poteri della persuasione maligna”, scrive. 2 Le parole possono essere veleno o farmaco, possono salvare o uccidere. Il Buddha lo sapeva bene: per questo una delle parti del suo sentiero riguarda il corretto uso della parola: la retta parola (samma vaca).
Vediamo in cosa consiste.