Svaha!

Un cuore più grande

Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.

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Il Seicento, il secolo di Spinoza, è stato, come quello che lo ha preceduto, un secolo insanguinato dalle guerre di religione. Mentre continua spedito il genocidio degli indiani d’America e si avvia la tratta degli schiavi africani, i cristiani non mancano di massacrarsi tra di loro, in Europa, per stabilire, tra l’altro, se sia vero che la salvezza possa avvenire grazie alla sola fede, come vogliono i protestanti, o se siano necessarie anche le opere buone, come sostengono i cattolici. Per testimoniare la grandezza della loro fede i protestanti ammazzano i cattolici, mentre questi ultimi massacrano i protestanti per compiere opere buone.

Dal punto di vista prettamente logico è difficile non dar ragione ai protestanti. La salvezza, la vita eterna, il paradiso sono degli assoluti di fronte ai quali qualsiasi opera umana appare misera, poca cosa, o nulla. C’è tra l’uomo e Dio un abisso che solo Dio stesso può colmare con la grazia. E tuttavia, se Dio è Bene, come pensare che si possa essere in Dio senza compiere il bene? C’è a dire il vero un sospetto che affiora qua e là, nella teologia e nella filosofia: che Dio sia al di là del bene e del male. Del resto, la riflessione teologica sul problema del male conduce spesso alla conclusione che il male appare tale solo dal nostro limitato punto di vista. Ma se il bene è il contrario del male, allora anche la nostra concezione del bene è il risultato del nostro limitato punto di vista, o per meglio dire della nostra ignoranza. Essendo assoluto, Dio è al di là dei nostri limiti cognitivi, e dunque delle nostre concezioni di bene e di male.

Sull’importanza dell’etica – delle buone azioni – nel Dharma del Buddha non è possibile nutrire dubbi: tre parti del nobile sentiero riguardano le nostre azioni nei confronti degli altri. Da questo punto di vista la precisione del Dharma, che a volte sembra esasperante, è di sicuro vantaggio. Ma non c’è precisione e profondità di analisi che possa mettere freno all’interrogare, e questo vale anche per il ruolo dell’etica nel buddhismo. Non c’è dubbio che l’etica faccia parte del cammino per giungere al risveglio. Ma che succede una volta raggiunto il risveglio? Il Buddha, che è il risvegliato per eccellenza, si presenta naturalmente come un uomo buono, come un esempio vivente di etica. Ma il bene è, come detto, il contrario del male, e pensare per contrari fa parte dell’azione della mente, della sua dinamica incessante, del suo inquieto fluire. Una mente che si è fermata non dovrà essere anche al di queste distinzioni? Come il Superuomo di Nietzsche, il risvegliato non sarà al di là del bene e del male? È difficile non giungere a questa conclusione. Ma questo non vuol dire che il risvegliato possa compiere il male. Il male non è forse una conseguenza dell’io? Non è perché abbiamo una visione errata della realtà – ossia centrata su noi stessi – che diventiamo vittima dei veleni della rabbia, dell’invidia, dell’odio? Trasceso l’io sono tagliate anche le radici del male: questa è la convinzione su cui si basa l’etica buddhista. Ottenuto il risveglio, non esiste più etica, perché è conclusa la lotta tra bene e male, la scelta sempre difficile tra interesse personale e bene comune, tra individualità animale e coscienza razionale, per dirla con Tolstoj. Il risvegliato sa che tutti gli esseri sono legati, che esiste una rete leggera di cui i singoli individui non sono che momentanei, fragili punti di confluenza, lì dove altri vedono individui contro individui, popoli contro popoli, nazioni contro nazioni. Colui che risvegliato non è intuisce questa diversa prospettiva, ne sente la forza liberante, il potere balsamico, e per un po’ gli si apre il cuore.