Svaha!

Al mercato, con le mani aperte

Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.

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Avrai notato una contraddizione in quello che ho scritto fino ad ora. Nella introduzione ho detto che credo nell’individuo e nella sua libertà; poi però ti ho mostrato come per il buddhismo l’individuo sia una illusione e comprenderlo costituisca la via principale per ottenere la liberazione. Come stanno dunque le cose? Nelle ultime pagine c’è la risposta a questa domanda (per quanto domande simili possano avere davvero una risposta); ma vediamo meglio.

Nel buddhismo cinese e giapponese – il chan e lo zen – il cammino verso il risveglio viene illustrato con una storia per immagini. Dieci immagini, per la precisione: le cosiddette icone del bufalo.

Nella prima immagine vediamo un giovane uomo che cammina tra fiumi e monti, con un’aria smarrita. Nella seconda lo vediamo più sicuro: ha trovato le tracce del bufalo. Perché il nostro giovane sta cercando un bufalo. Nella terza immagine vede il bufalo e si mette a rincorrerlo; nella quarta lo ha raggiunto e catturato, con una fune legata al collo. Nella quinta immagine il bufalo è ormai addomesticato e segue quieto il giovane; nella sesta il giovane ormai cavalca il bufalo e si avvia verso casa suonando un flauto; nella settima il bufalo invece è scomparso e il nostro giovane è solo, davanti alla sua casa, e sognante guarda il monte lontano e il sole. Il testo che accompagna le icone ci dice che il giovane è in pace; non ha nemmeno più bisogno di domare il bufalo. È talmente in pace, il nostro giovane, che nelle icona successiva semplicemente scompare. Non c’è più lui, non c’è la sua casa, non c’è il monte né il sole. Non c’è il bufalo. L’ottava icona è vuota. Penseresti che la storia potrebbe finire qui: il giovane ha raggiunto il vuoto, e nel vuoto dimora, privo di sé, privo del mondo. Ma ci sono ancora due icone. Nella nona il mondo torna a farsi presente. Vediamo un albero, delle rocce, il mare. Non c’è il giovane, ma il testo che accompagna le icone ci dice che sta seduto e contempla il succedersi di tutte le cose. In qualche modo, stiamo guardando la scena attraverso il suo sguardo. Il mondo c’è di nuovo, cambia e scorre come sempre, ma lo sguardo è cambiato. Nella decima ed ultima icona ritroviamo il nostro giovane. Ha con sé un fagotto, di quelli che portano i mendicanti, ed incontra un uomo molto più grande di lui, dalla pancia enorme e la bocca sorridente, che ha sulle spalle un fagotto ingombrante e sembra che stia donando un cesto al giovane. Si tratta di Budai (Hotei per i giapponesi), quella figura benaugurante che in occidente molti confondono con il Buddha. L’icona è enigmatica, ma le cose si complicano con il testo. Che dice che “con il torace scoperto e i piedi nudi si reca al mercato”. Ma il torace scoperto lo ha Hotei. Chi è dunque l’altro? Ancora il testo ci dice che quest’uomo che va al mercato “fa in modo che gli alberi secchi si coprano di fiori”e trasforma tutti quelli che incontra, facendoli diventare dei Buddha.

Il giovane che cerca il bufalo è un individuo. Il giovane che cattura il bufalo è ancora un individuo. Una volta catturato il bufalo, l’individuo non c’è più. Siamo nel mondo dell’oltreio. Ma in questo mondo il nostro individuo non si estingue: ritorna e si immerge nella vita comune, simboleggiato dal mercato. Vi ritorna da individuo, ma è un individuo diverso, trasfigurato. Chiedersi chi è il nostro giovane, dei due, vuol dire non aver compreso quello che è successo. L’icona scaturisce da un mondo nel quale la distinzione tra un io e un tu non ha più senso. Questo individuo trasfigurato è capace di amore. Il testo dice che entra nel mercato “con le mani aperte”. Le mani di chi è pronto a donare, le mani di chi non desidera più possedere nulla: nemmeno la liberazione.