Svaha!

Il gioco

Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.

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Due eserciti sono schierati, l’uno di fronte all’altro. Tra un po’ comincerà il rito della guerra. Tra un po’ l’uomo ucciderà l’uomo: questo atto terribile che la propensione umana alla menzogna è riuscita a far diventare eroico, giosioso, epico.

C’è un uomo, un soldato, che guarda la scena perplesso. Scuote il capo. No, non è giusto. Quello che sta per fare va contro i suoi principi. È un soldato, e un soldato deve uccidere; ma qui, nell’esercito nemico, ci sono i suoi parenti, i suoi amici, i suoi maestri. Perché si tratta di una guerra tra clan cugini, i Pandava e i Kaurava.

L’uomo si chiama Arjuna e ti ho già parlato di lui. Arjuna dice le parole che ogni soldato direbbe, se la sua umanità non fosse spenta, svilita, distorta da quelli che preparano le guerre, da quelli che mobilitano le masse contro il nemico, da quelli esperti nel trasformare gli esseri umani in demoni sanguinari. Se anche vincessimo, dice, che vittoria sarebbe? Una vittoria sporca di sangue è una vittoria?

Avverte, Arjuna, che in una guerra perdiamo tutti.

Ma non è solo. Ad accompagnarlo, guidando il suo carro, c’è il principe Krishna, che in realtà è una manifestazione di Dio stesso. Krishna ascolta il lamento di Arjuna e lo rincuora. Arjuna è un soldato, e il dovere, il dharma di un soldato, è quello di combattere. Ma soprattutto bisogna che Arjuna consideri le cose in modo più profondo. Ha di fronte un esercito di persone care che sta per uccidere. Ma questa è una visione superficiale, che si limita all’apparenza. La realtà è diversa. L’essenza ultima, divina di ognuno è indistruttibile, nessuno può ucciderla. Quelle che ucciderà Arjuna sono le apparenze: è come se uccidesse dei fantasmi, mentre ciò che è essenziale è al sicuro, inattingibile dalla sua spada.

Queste sono le cose che Krishna dice fino a quando mantiene la forma umana. Poi si mostra ad Arjuna nella sua forma autentica – si mostra come Dio – e lo atterrisce. E gli dice una cosa terribile. Uccidi i nemici, dice. Non sei tu ad ucciderli. Sono io che li uccido. Tu sei solo uno strumento1.

Questo libro (sto parlando della Bhagavad-Gita) lascia perplessi e confusi. Parla del dovere di uccidere per il soldato Arjuna, ma afferma anche il valore della pace e della nonviolenza. Gandhi, il padre della nonviolenza, lo considerava il suo libro fondamentale.

Quella che Krishna presenta ad Arjuna è la verità assoluta, ed in base a quella verità assoluta (nessuno muore, nessuno agisce; solo Dio è) lo invita ad agire sul piano della verità relativa, quel mondo delle apparenze nel quale sembra che qualcuno uccida e qualcun altro muoia.

Qui la realtà assoluta è Dio. Se pensiamo Dio come una sorta di uomo in grande, solo più vecchio e più saggio – anche se ogni tanto fa cose strane, come sterminare l’umanità, spingere un popolo contro gli altri o fare scommesse con Satana – la sua esistenza è compatibile con quella del mondo. Se invece Dio è l’Essere Assoluto, allora solo Lui (o meglio sarebbe dire: solo Ciò) è: ogni realtà singola svanisce, così come la luce piena consuma i contorni e i dettagli di ogni cosa.

Per indicare questa Realtà che è oltre le apparenze gli indiani parlano di Brahman. Uno dei più grandi mistici dell’occidente, il filosofo greco Plotino, parla invece di Uno. E nelle sue Enneadi scrive (III, 2, 15) che uomini ed animali sono “giocattoli viventi”, attori che recitano la loro parte e poi escono di scena; e che le guerre non sono troppo diverse da giochi o danze pirriche, le danze con le quali i greci simulavano la guerra. Illusione, gioco.

Ma il Buddha, abbiamo visto, non crede in Dio. Che assoluto sarà mai il suo?

La Bhagavad-Gita e Plotino riconducono la realtà che vediamo a qualcosa di superiore, ad un Uno che è al di sopra ed oltre il molteplice. Il Buddha fa l’operazione contraria: verso il basso. La realtà che vediamo viene ricondotta non a qualcosa di superiore, ma ai suoi elementi costitutivi.

Il qualcosa che vediamo, il qualcuno che siamo, evapora nel vuoto. E tuttavia noi siamo qualcuno e viviamo in un mondo fatto di altri come noi, e di cose. Il mondo è un gioco, ma è un gioco che ha le sue regole.

  1. Bhagavad-Gita, XI, vv. 33-34.