Svaha!

Il carro

Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.

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Uno dei primi occidentali convertiti al buddhismo fu, con ogni probabilità, il re greco Menandro, che ha governato il regno indo-greco (fra l’India e il Pakistan) intorno al secondo secolo avanti Cristo. I buddhisti lo ricordano con il nome Milinda, e il libro che raccoglie i dialoghi tra lui e il saggio buddhista Nagasena, il Milindapañha, è uno dei testi più venerati del buddhismo antico.

Questo Nagasena era uno che la sapeva lunga. Quando il re gli chiede come si chiama, lui risponde: “Nagasena, ma è soltanto un nome, perché qui non è presente nessun individuo”1. La cosa sconcerta il re, come sconcerterebbe oggi qualsiasi occidentale. Da secoli siamo abituati a pensare l’essere umano come un insieme di un elemento spirituale, l’anima, e un elemento materiale, il corpo. Da qualche tempo sappiamo che le cose sono più complesse, che quella che chiamiamo anima è una funzione del nostro cervello, e che il corpo non è un abito esteriore, ma parte integrante di quello che siamo. Ma, anche quando non crediamo all’anima, siamo convinti di essere individui in un mondo di individui. Io sono io, non te; e tu non sei me. “Io sono io” è la prima di tutte le nostre certezze.

Questo Nagasena dice che no, non c’è alcun pudgala, alcun individuo. Menandro, che non doveva essere stupido, comprende le conseguenze di questa affermazione. Se non c’è nessun individuo, chi è che uccide? Chi è che ha una condotta sessuale sbagliata? Chi è che mente? Chi è che fa uso di sostanze intossicanti? Sono domande che si riferiscono ai precetti del buddhismo. Se non esiste alcun individuo, allora non esiste nemmeno nessuno che faccia il male, ed è dunque lecito uccidere, o rubare, o violentare. E Menandro continua: se qualcuno vi uccidesse, caro Nagasena, non esisterebbe nemmeno l’azione di uccidervi.

Nagasena non si scompone troppo. La letteratura universale è popolata di re dispotici e folli che ammazzano la povera gente per un nonnulla, ma non è il caso di Menandro, che si accalora solo perché vuole capire. E ora tocca a Nagasena fare domande. Il re è venuto con un carro? Sì? E cos’è un carro? È il timone? No. È l’asse? Nemmeno. È le ruote. No. Ah, il re è venuto con il carro, ma il carro non è nessuna delle cose che lo compongono. Ecco, il carro in realtà non esiste. Esiste un nome con il quale indichiamo un insieme di cose, che però di per sé non è una cosa.

Lo stesso si può dire di noi. Il nostro nome non indica una sostanza, ma un insieme. Ed un insieme che, considerato diversamente, semplicemente scompare.

Alla fine del suo discorso Nagasena fa una distinzione che è fondamentale per tutto il buddhismo: quella tra il punto di vista comune e il punto di vista assoluto (paramattha).

  1. Milindapañha, Libro II, sez. I, in RB1, p. 105.