Svaha!

Ananda

Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.

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Stando ai testi il Buddha sapeva esattamente quando sarebbe morto e lo aveva annunciato ai suoi discepoli. Tuttavia non nominò nessun suo successore a capo del Sangha. Poco prima di morire parla ad Ananda. Ora che io morirò, gli dice, potreste pensare che non avete più un maestro. È sbagliato. “Quello che vi ho spiegato e insegnato è che il Dharma e la disciplina, alla mia morte, saranno il vostro maestro”.1 E per essere sicuro che il suo insegnamento sia del tutto chiaro, come un insegnante paziente per un’ultima volta chiede ai monaci: c’è ancora qualcosa da spiegare? I monaci restano in silenzio. È tutto chiaro. Il Buddha può morire in pace.

L’idea del Buddha era dunque, stando ai testi, quella di un Sangha che si autogestisce, senza un vero capo, unito dalla condivisione dell’insegnamento e dei precetti monastici. L’unica gerarchia che il Buddha crea prima di andarsene è semplicemente legata all’anzianità: i monaci più giovani dovranno chiamare quelli più vecchi “venerabile”, e a loro volta saranno chiamati “amico” da loro.

Questa scelta mi sembra incomprensibile. Il Buddha non poteva ignorare le tensioni che erano nella sua comunità. Il suo stesso cugino, Devadatta, lo aveva invitato a farsi da parte, a causa della sua età avanzata, ed a lasciare a lui la guida del Sangha. Secondo i testi il Buddha gli rispose insultandolo: “Io, Devadatta, non lascerei l’ordine a Sariputta e Mogallana, come potrei lasciarlo a te, un così miserabile mangiamerda?”2

Ho tradotto con mangiamerda il pali khelapaka, propriamente “mangiatore di sputo”, mentre chava, che ho tradotto con miserabile, si può tradurre anche con cadavere. La tradizione ha cercato di edulcorare questo insulto, evidentemente per renderlo compatibile con la retta parola, ma non ci sono dubbi sulla reazione durissima del Buddha. Non poteva ignorare che se qualcuno più audace poteva spingersi fino a chiedergli di farsi da parte quando lui era ancora in vita, molti avrebbero cercato di prendere la direzione della comunità dopo la sua morte. Eppure non sceglie un successore. Nemmeno Ananda, che è fratello di Devadatta (e dunque anche lui cugino del Buddha), ma è devotissimo al Buddha. Gli è accanto fin da quando aveva poco più di vent’anni. Bello d’aspetto, leale, è la persona che lo segue in tutte le incombenze quotidiane, si prende cura di lui, lo conforta nei momenti difficili (è una presenza costante negli ultimi giorni del Buddha), ma memorizza anche i suoi discorsi e diventa testimone privilegiato dell’insegnamento del Dharma. Quando il Buddha muore non è più giovanissimo, ha ormai una cinquantina d’anni, ma è comunque nel pieno delle forze, è apprezzato da molti, ed è la persona più vicina al Buddha. E tuttavia non sarà lui a succedergli.

  1. Mahaparinibbanasuttanta, Digha Nikaya, 16, in RB1, p. 1181. 

  2. The Book of Discipline (Vinaya-Pitaka), vol. V, translated by I. B. Horner, Luzac & Company, London 1952, p. 264 (Cullavagga, VII).