Svaha!

Dopo

Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.

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La morte del Buddha ha lasciato i suoi discepoli nello sconforto, anche se, come abbiamo visto, non mancò qualcuno che ne era contento. Quando muore un grande personaggio religioso è forte la tentazione di negare che sia finito nel nulla, di pensare per lui una nuova vita su un diverso livello di esistenza. La negazione è la prima fase del difficile processo di elaborazione del lutto. Ma questa reazione umanissima nel caso di un leader religioso può condurre alla divinizzazione. Con molto buon senso, il Buddha mise in guardia i suoi discepoli: la questione della sua sopravvivenza o meno dopo la morte era, come sappiamo, una di quelle cui non rispondeva (avyakata). Il mondo è eterno? È finito? Il sé è tutt’uno col corpo? E il Buddha esiste dopo la morte? Nessuna risposta.

I successori tuttavia non sono riusciti a fare a meno di pensare una qualche forma di esistenza per il Buddha dopo la morte, avviando al contempo una curiosa venerazione delle sue reliquie. Nel Lankavatara sutra, un testo importante di cui ti parlerò ancora tra qualche pagina, il Buddha afferma di essere “come la luna nell’acqua, che né è né non è”1. Questa formula (che sicuramente non è del Buddha storico: il sutra è stato scritto diversi secoli dopo la sua morte) appare del tutto assurda ad un occidentale – abbiamo imparato che le cose o sono o non sono, e non c’è una terza possibilità – ed è invece ricorrente nel buddhismo. A pensarci bene, non è così assurda, almeno in questo caso. Possiamo dire che il Buddha, e con lui lo stesso Aristotele, e Platone, e Spinoza, e Leopardi non esistono? Certo, sono esistiti. Ma ora? Non sono più? Eppure ognuno di noi può incontrarli. Quando leggiamo i versi di Leopardi entriamo in rapporto con lui, ed è un rapporto anche molto intimo, per così dire da cuore a cuore. Uno dei due cuori non batte più, eppure il contatto è reale. Che tipo di vita ha ora Leopardi? È e non è. È in modo particolarissimo, difficile da dire e da comprendere.

Per i buddhisti il Buddha, il Dharma e il Sangha sono i tre gioielli (triratna) nei quali si prende rifugio al momento della conversione. Il Buddha è l’origine del Dharma, colui che ha insegnato la dottrina, ma anche la persona con cui, a distanza di secoli, il praticante dialoga e si confronta. Abbiamo visto che il Dharma è aperto all’esperienza e alla verifica di ognuno. Prendere rifugio nel Buddha è continuarne la ricerca, esplorare ancora il sentiero. Ma c’è un altro senso del rifugio nel Buddha. Il Buddha storico è uno dei tanti Buddha possibili. Buddha è chiunque abbia raggiunto il nirvana; e ognuno può raggiungerlo. Ognuno ha in sé la possibilità di diventare un Buddha. Il rifugio nel Buddha è un rifugio nella nostra stessa possibilità di liberazione.

  1. Lankavatara sutra, traduzione e commento di Red Pine, Ubaldini, Roma 2013, p. 166.