Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.
Indice | Precedente | Successivo |
La casa sta andando a fuoco. L’uomo assiste alla scena con terrore: dentro ci sono i suoi figli che stanno giocando, senza ancora accorgersi delle fiamme che avvolgono tutto. Pensa di entrare nella casa e portarli fuori uno alla volta, ma ha paura di non riuscire a salvarli tutti. Sono bambini, amano giocare, correre di qua e di là: può essere che, ignari come sono del pericolo, non gli credano. Ma ha un’idea. Entrerà in casa e dirà ai suoi bambini che fuori, proprio davanti alla casa, c’è per ognuno di loro un gioco magnifico. Pare di vederli i bambini che si precipitano fuori dalla casa alla ricerca dei loro nuovi giochi, mettendosi in salvo senza saperlo.
La storia è raccontata nel Sutra del Loto, uno dei sutra più importanti del buddhismo mahayana. I giochi che il padre promette ai bambini sono, per la precisione, dei carri. Carri di diversi tipi, trainati da capre, da buoi, da gazzelle. La storia aggiunge anche che, una volta portati fuori i bambini, l’uomo dà loro non i diversi carri che aveva promesso, ma un solo carro meraviglioso. Non è un caso che i giocattoli promessi siano dei carri: alludono ai veicoli, le diverse correnti del buddhismo che, secondo l’insegnamento di quel sutra, confluiscono nel Grande Veicolo del buddhismo mahayana. Ma non è di questo che voglio parlarti ora, bensì del fuoco. Come avrai capito, i bambini della storia siamo noi e la casa in fiamme è il mondo in cui viviamo. Il Dharma è il mezzo utile per uscire dalla casa in fiamme; contiene in sé qualcosa di strumentale – un dolce inganno, per così dire – ma anche molta verità: perché reale, vero, incalzante è il pericolo.
Il Sutra del Loto è stato scritto probabilmente agli inizi dell’era volgare e quindi diversi secoli dopo la morte del Buddha storico, ma la metafora del fuoco si trova già in uno dei più suggestivi discorsi di Siddhattha. Che comincia così: Sabbam bhikkave adittam, “O monaci, tutto brucia”1. Ma cosa brucia? Cosa è questo tutto? A bruciare ora non è la casa del mondo; l’incendio, se possibile, è anche più terribile. A bruciare siamo noi. A bruciare, spiega il Buddha, sono tutte le nostre sensazioni. Bruciano i suoni, bruciano gli odori, brucia la vista, brucia il gusto. Brucia il tatto. E brucia la mente stessa, bruciano i pensieri, brucia la coscienza.
In che modo bruciano i nostri sensi? In che modo bruciamo noi? Bruciamo di desiderio, e questa non è una cosa difficile da capire: desiderio ed ardore sono normalmente associati anche in occidente. Nel buddhismo il desiderio è raga ed è uno dei tre veleni, le tre cose che costituiscono la radice della nostra sofferenza. Un’altra è dosa, che è il contrario di raga: l’odio, l’avversione. Ed anche il legame tra odio e fuoco è una cosa non così estranea al nostro modo di vedere. Si brucia di rabbia, di ira, di odio non meno che di desiderio. Il terzo veleno è moha, che potremmo tradurre con stupidità, ignoranza. Di per sé non sembra che abbia molto a che fare con il fuoco – possiamo figurarci uno stupido perfettamente tranquillo – ma nella visione buddhista è proprio la stupidità, l’ignoranza della realtà delle cose, a rendere possibile il fuoco del desiderio e il fuoco dell’avversione.
Come spegnere questo incendio che brucia dentro di noi, che brucia noi stessi?
Adittasutta, Samyutta Nikaya, 32.58, in RB1, p. 423. ↩