Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.
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La credenza nel karman ha indubbiamente una sua efficacia. Consente di rispondere a molte domande, e sono domande importanti. Qualche giorno fa ho partecipato ad un convegno sul tema della felicità. C’erano un monaco buddhista, un monaco cristiano e alcuni scienziati. Uno di loro, un fisico, durante il suo intervento ha ricordato le parole terribili di Ivan Karamazov. Perché la sofferenza di un bambino? Quale verità religiosa è compatibile con un bambino di otto anni sbranato da un cane? Quale armonia universale, quale liberazione finale può cancellare, riparare, compensare questo orrore? Nella Bibbia i bambini sono assenti. Il loro dolore non sembra un gran problema. Del resto, per molti secoli in occidente la morte dei bambini entro una certa età è stata considerata un fatto normale, e diffuso era l’infanticidio. Il problema della Bibbia è quello del giusto. Perché il giusto soffre e il malvagio prospera? Come pensare che ci sia un Dio, se nel mondo il bene appare così fragile e il male così solido?
Il karman permette di rispondere a tutte le domande. Il bambino di otto anni è stato sbranato dal cane perché è maturato il frutto di una sua azione compiuta in una vita precedente; il politico mafioso morirà pure tranquillo nel suo letto, sazio d’anni, circondato dall’affetto dei suoi cari e dalla stima di tutti, ma la sua vita futura sarà un inferno. Tutti pagheranno tutto. E non c’è un Giudice che dall’alto guarda, considera, assolve o punisce. È un meccanismo immanente, automatico.
Vedi bene i vantaggi di questa convinzione. Il mondo diventa immediatamente sensato, morale. Tutto sembra incastrarsi perfettamente. “Se si eccettuano alcuni casi aberranti, l’uomo non è propenso al bene: quale dio ve lo spingerebbe?”, scriveva Cioran nell’incipit de Il funesto demiurgo 1. In questo caso a spingere al bene sono la paura e la speranza. La paura di essere puniti, in questa vita o in un’altra, e la speranza di ottenere fortuna, felicità e ricchezza se compiamo il bene. Ma c’è un lato oscuro della faccenda. Una morale fondata sulla paura o sulla speranza, vale a dire sull’utile, è una morale estrinseca, una morale da arrivisti metafisici. Soprattutto, il karman ha lo stesso effetto del peccato nell’occidente cristiano. Serve da deterrente, ma finisce per schiacciare con il suo peso l’intera esistenza. L’uomo e la donna indiani del tempo del Buddha sembrano oppressi dal karman non meno che l’uomo e la donna dell’occidente cristiano dal peso del peccato.
C’è poi l’aspetto politico e sociale della faccenda. La dottrina del karman consente di spiegare il male, la malattia, quella che chiamiamo sfortuna, ma anche le differenze sociali ed economiche. Perché sono nato povero? Perché esistono in società i poveri ed i ricchi? Perché non cercare una società in cui non ci siano ricchi e poveri, ma tutti abbiano quel che è sufficiente per vivere bene? La risposta in questo caso è che i ricchi godono delle ricompense per il bene fatto, i poveri scontano invece il male compiuto in una vita precedente. È giusto così.
In tutte le religioni c’è un germe rivoluzionario, poiché esprimono sempre, in qualche modo, una smisurata insoddisfazione verso l’esistente e un desiderio ancora più smisurato di trasformazione radicale. Ma in tutte le religioni c’è anche, ed è in genere predominante, il germe della conservazione sociale, quella che Marx chiamava ideologia. Come tutte le cose, le religioni nascono e muoiono. Molte sono scomparse: pensa al manicheismo, allo gnosticismo o agli ajivika che ho citato qualche pagina fa. Molte sono anche le religioni che non sono mai nate. Sappiamo che prima di Cristo, ad esempio, si proclamarono messia Teuda e Giuda il Galileo; in tempi più vicini a noi è stato considerato un messia dai suoi seguaci Davide Lazzaretti, che è finito ucciso dai carabinieri. Una religione si afferma grazie alla forza della fede dei suoi seguaci, ma anche (e forse soprattutto) se offre sostegno e giustificazione a un assetto politico, sociale ed economico.
A livello popolare la dottrina del karman ispira pratiche che hanno del superstizioso, oltre a favorire la corruzione dei monaci (perché, è chiaro, dare soldi ai monasteri è uno dei modi migliori per ottenere un buon karman). A livello filosofico, è una sorta di rompicapo.
E. Cioran, Il funesto demiurgo, Adelphi, Milano 1986, p. 11. ↩