Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.
Indice | Precedente | Successivo |
Un giorno un asceta itinerante di nome Sivaka va a far visita al Buddha in un boschetto di bambù per interrogarlo su una teoria che ha sentito presso altri saggi: che tutto quello che sentiamo – piacere o dolore – è null’altro che frutto del karman. È proprio così? Non si limita a chiederselo: ha bisogno di chiederlo ad altri, a persone che riconosce autorevoli; e il Buddha è tra questi. Non dimentichiamo mai questo contesto: il Dharma del Buddha nasce in un tempo e in un luogo in cui esistono persone che si pongono molte domande e sono disposte anche a fare un lungo cammino per ottenere una risposta. E la risposta dovrà essere convincente: è un’epoca di dispute, nelle quali a vincere non è chi ha più potere o autorità, ma chi ragiona meglio.
La risposta del Buddha a Sivaka è sorprendente: no, dice, non è affatto così. Non sempre, almeno. Il dolore non è sempre il risultato del karma. Può essere causato semplicemente da un problema fisico: può derivare dalla bile, dai cambi di stagione, da scarsa cura del corpo… Dunque coloro che dicono che tutto ciò che sentiamo è frutto del karman, conclude, si sbagliano; e si sbagliano perché si spingono al di là di ciò che possono conoscere. 1
Questa conclusione implica il principio che abbiamo già incontrato: bisogna verificare da sé, in questo caso considerando i nessi di causa ed effetto, proprio come fa (non mi pare un paragone azzardato) la scienza moderna. La medicina può accertare i nessi tra condizioni dolorose e cause fisiche, mentre non è possibile accertare allo stesso modo l’influenza del karman.
Ma che dire allora della teoria dell’originazione interdipendente? Come posso verificarla? Secondo l’interpretazione corrente i dodici anelli dell’originazione interdipendente coprono tre esistenze: i primi due anelli riguardano la vita precedente, in seguito alla quale è maturato il karma che ha dato origine alla nostra condizione attuale, nella quale matura nuovo karma che dà origine alla prossima esistenza, rappresentata dagli ultimi due anelli. Ma come possiamo sapere direttamente della nostra vita precedente? E come possiamo sapere della nostra vita futura? Quale esperienza è possibile avere in questi casi? Non sono cose che si credono per fede?
Ho incontrato la prima volta questa perplessità negli scritti di un monaco e studioso buddhista che si chiamava Ñanavira Thera 2. Il suo vero nome era Harold Edward Musson, era un inglese che aveva passato gli anni della seconda guerra mondiale da militare e che alla fine della guerra si era trasferito a Ceylon con il proposito di diventare monaco buddhista. Dopo l’ordinazione fece vita da eremita, dedicandosi al contempo a studi che fanno di lui uno dei maggiori – e più inquieti – pensatori buddhisti del Novecento.
Se vogliamo conciliare l’originazione interdipendente con il principio di verificabilità, afferma Ñanavira Thera, dobbiamo rinunciare a pensare la serie come una successione temporale che coinvolge più esistenze e considerarla piuttosto l’analisi di un circolo vizioso che accade di continuo in questa nostra stessa esistenza. Ñanavira Thera è uno studioso rigoroso, spesso provocatorio, sempre difficile; una interpretazione simile si trova in un altro grande maestro del buddhismo contemporaneo, il thailandese Buddhadasa, che la spiega con immagini molto semplici. Consideriamo questa scena: un bambino scoppia a piangere perché la sua bambola è caduta e si è rotta. Cosa è successo? Il bambino ha visto la bambola cadere e rompersi e ciò ha suscitato in lui sofferenza, a causa del suo attaccamento alla bambola. In questa scena si è svolta, in un attimo, tutta la serie dell’originazione interdipendente. 3
Come è chiaro, questa interpretazione è sostenibile solo a condizione di dare un significato diverso a nascita e morte. A nascere non è l’individuo psico-fisico, la nostra presente esistenza, ma il senso del nostro io, l’“io sono”, che accompagna costantemente la persona ordinaria, e la cui presenza è causa di sofferenza. In ogni istante c’è il nascere e sorgere, doloroso e insoddisfacente, del circolo vizioso che ci porta a essere un io desiderante in rapporto con un mondo frustrante.