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Nel film di Luis Buñuel L’angelo sterminatore un po’ di bella gente dell’alta borghesia si ritrova ad una festa, dalla quale però gli ospiti non riescono più ad andarsene. Quando ormai è mattino si avviano all’uscita della villa sontuosa che li ospita, ma si accorgono di non riuscire semplicemente a varcare la soglia che separa il dentro dal fuori. Si trattengono nella casa per la notte, dormendo dove possono, e ci riprovano al mattino, ma nulla: non ce la fanno proprio ad uscire. Nessun impedimento reale, semplicemente qualcosa che li trattiene. Si accorgono di essere intrappolati. Restano in quella casa per giorni, elaborando strategie di fuga sempre più irrazionali: qualcuno si dà alla stregoneria, qualche altro cerca un capro espiatorio, qualcuno muore. Riescono ad uscirne, ma solo per finire in un’altra prigione: ritrovatisi in chiesa, si accorgono di essere nuovamente intrappolati.
Il film di Buñuel è una critica della borghesia, una denuncia della violenza che la caratterizza al di sotto del perbenismo, ma per un buddhista può essere anche una efficace metafora della condizione umana. Si nasce e si esce dalla vita con la morte, ma è un’uscita solo apparente: si rinasce, e poi ancora, e ancora. Non solo. È anche una metafora dei meccanismi mentali che quotidianamente ci tengono legati alla sofferenza: il rancore, il rimorso, il rimpianto, il ricordo. Eccetera. Come spesso succede, un’immagine ha significati che vanno al di là di quelli che intendeva il suo creatore. Sentirsi intrappolati nella vita è una sensazione che accompagna l’essere umano da molti secoli e senza la quale probabilmente non si comprenderebbe la nascita delle religioni. La religione, che così spesso, così volentieri, così facilmente diventa oppressione o strumento di oppressione, nasce da un grido di liberazione. Liberami! Liberiamoci!
Il dharma del Buddha non crede che ci sarà qualcuno che verrà a tirarci fuori dal labirinto. Afferma che potremo uscirne se studieremo il labirinto e la posizione che occupiamo in esso. Abbiamo visto che questa ricerca conduce alla conclusione che siamo in un labirinto costituito dall’illusione del nostro io (che detto diversamente, non stiamo nel labirinto, ma siamo il labirinto). Una analisi più dettagliata – forse anche troppo dettagliata, a dire il vero – è nella dottrina dell’originazione interdipendente o coproduzione condizionata (in pali: paticcasamuppada). È una delle dottrine fondamentali del buddhismo, per quanto non compaia nel primo discorso pubblico del Buddha. Ed è anche una delle immagini più potenti del buddhismo: perché la dottrina ha una sua raffigurazione nella cosiddetta ruota dell’esistenza (bhavacakka). La ruota è composta da tre sfere concentriche. Nella prima, al centro, sono raffigurati tre animali, simboli dei tre veleni: il gallo, il serpente, e il cinghiale, simboli rispettivamente dell’attaccamento, dell’avversione e dell’ignoranza. La seconda sfera è divisa in sei parti, che rappresentano sei mondi: quello degli esseri umani e quello degli animali sono gli unici che appartengono anche al mio e al tuo mondo culturale; ci sono poi il mondo degli dei, dei semi-dei, dei demoni e gli inferni, di cui ti ho già parlato. Tutti gli esseri occupano questi mondi solo a causa dei meriti e demeriti, ossia della retribuzione karmika. Gli dei quindi non hanno molto a che fare con la divinità come la intende il monoteismo, e nemmeno con le divinità dei politeismi. Sono esseri che vivono in mondi rarefatti, in una condizione di felicità che tuttavia è temporanea: una volta esauriti i meriti torneranno a nascere in stati di esistenza inferiori.
Nell’ultima sfera, quella esterna, abbiamo dodici scene che simboleggiano gli anelli del meccanismo che ci tiene nel labirinto o, se preferisci, dodici capitoli della storia di noi tutti. La storia comincia con una donna che cammina cieca e curva. È l’ignoranza, che non è solo una condizione di passività. L’ignoranza agisce, seppure alla cieca. Ed è così che nella seconda scena la vecchia cieca diventa un vasaio al lavoro: sono le formazioni karmike (samkhara), che possiamo interpretare come le pulsioni coscienti o inconsapevoli che ci spingono verso l’azione. Nella terza scena c’è una scimmia che salta da un ramo all’altro. È una immagine suggestiva ed efficace per indicare la coscienza. Vediamo poi, nella quarta scena, delle persone su una barca in mezzo ad un fiume, che rappresentano l’individuo come insieme di corpo e formazioni mentali. In quella successiva compare una casa con sei finestre, che sono gli organi di senso, compreso l’intelletto, che nel buddhismo, come abbiamo visto, è anch’esso un senso. Nella sesta scena il rapporto tra gli organi di senso ed il loro oggetto è indicato con l’immagine forte – che fa pensare a un altro film di Buñuel, Un chien andalou – di un uomo con una freccia in un occhio. Il contatto con l’oggetto sensoriale fa nascere il desiderio sensuale (non necessariamente sessuale), che nella settima scena è rappresentato dall’immagine di una coppia che fa l’amore. Dal desiderio nascono la sete e l’attaccamento, simboleggiati nell’ottava e nona scena da una persona che versa da bere ad un’altra e da una persona che sale su un albero per raccoglierne i frutti. Sono state realizzate le condizioni per la rinascita: nella decima scena incontriamo una donna incinta, simbolo dell’esistenza; nella scena successiva la donna partorisce (la rinascita, appunto), mentre in quella finale ci imbattiamo subito nell’altro polo dell’esistenza: un cadavere che viene condotto al cimitero.
Considerato sinteticamente, lo schema è chiaro. Ci dice che c’è un circolo vizioso che nasce con l’ignoranza e l’attaccamento e conduce alla sofferenza. Considerando i singoli elementi però sorgono non poche perplessità. Come sappiamo, il Buddha presenta la sua dottrina non come qualcosa in cui credere, ma come una realtà da verificare da sé. Ora, in che modo è possibile verificare la validità dell’originazione interdipendente, se essa va al di là della mia esistenza? Gli ultimi anelli, come abbiamo visto, riguardano la rinascita. Come posso verificarli, se ho esperienza solo di questa vita?