Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.
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È arrivato il momento di cominciare il sentiero. Un sentiero paradossale, impercorribile, se fosse fisico: poiché si tratta di un sentiero in otto parti; e a dire il vero si è discusso e si discute di come praticarlo effettivamente. Bisogna prendere una parte del sentiero alla volta, considerando le otto parti come otto tappe di un unico percorso, oppure affrontare tutti i sentieri insieme? La prima soluzione porterebbe a una gerarchia delle parti del sentiero, con l’ultima che sarebbe quella decisiva per ottenere la liberazione, ed altre parti invece meno valide, utili per avviare il percorso. Ma non saprei dire quale considerare meno importante: nel dubbio, mi sembra più plausibile che tutte le parti del sentiero vadano percorse insieme. Del resto, il sentiero viene raffigurato con una ruota dagli otto raggi: e in una ruota ogni punto della circonferenza è ugualmente importante.
Ancora una volta la ruota. Questa – la ruota con otto raggi – è il simbolo stesso del Buddhadharma. Mi piace pensare che si tratti della stessa ruota dell’esistenza, considerata da un altro punto di vista. Quella è la ruota di un’esistenza bloccata, una ruota che non gira bene sul suo asse, e per questo crea disagio (dukkha); questa è una ruota che torna a posto (sukha). E che conduce oltre. Credo che si possa parlare del nobile sentiero in otto parti come di un metodo. L’etimologia della parola include la parola via, sentiero (hodos), accompagnata dal prefisso metà. Quest’ultimo può essere interpretato nel senso di “seguire”, per cui il metodo consiste nel “seguire una via” nella ricerca, ma implica anche l’idea di superamento, di oltrepassamento, per cui metodo è anche “la via che conduce oltre”. Il sentiero buddhista è il metodo.
Mi pare che ci sia qualcosa di artificioso nell’idea di un sentiero in otto parti, anche se l’immagine della ruota con otto raggi ha una sua indubbia efficacia. Preferisco pensare, piuttosto, a tre dimensioni: la saggezza, l’etica e la contemplazione. Perché a questo si riducono, si riconducono le otto parti del sentiero. Il sentiero consiste di: retta visione, retta intenzione (che rientrano nella saggezza); retta parola, retta azione, retto sostentamento (che rientrano nella morale); retto sforzo, retta presenza mentale, retta concentrazione (che rientrano nella meditazione). La risposta del Buddha alla domanda sulla sofferenza, sul disagio che ci segue come un’ombra, è che possiamo vivere diversamente, se cerchiamo queste tre cose.
Ti ho portato fin qui, prima di parlarti del sentiero, ma in realtà ci siamo già inoltrati lungo la sua prima parte. Perché la retta visione (samma di__tt__hi), la prima parte del sentiero, consiste nell’analizzare la realtà, nel cogliere il disagio e la sua origine, nel riflettere sull’insostanzialità del nostro ego, nell’individuare i nessi di causa ed effetto e nella consapevolezza che esiste una via d’uscita dal labirinto. La parola di__tt__hi è l’equivalente del nostro teoria, che etimologicamente ha anch’esso a che fare con il vedere. Ma nei testi buddhisti le teorie, le visioni sono sempre considerate negativamente. Il Buddha non perde tempo a discuterle, non vuole in alcun modo essere uno che sostiene un punto di vista contro un altro, che elabora teorie e le difende. Il rischio, come vedi, è che anche la visione del Dharma diventi una teoria come le altre, una dottrina, perfino una religione; una costruzione ideale che si sostituisce all’esperienza. È questo il punto più fragile del Dharma, che si espone sempre al rischio di essere una dottrina che condanna le altre dottrine. I successori del Buddha ne sono stati ben consapevoli ed hanno cercato in molti modi, anche drastici, di preservare la freschezza del contatto diretto con la realtà.