Svaha!

Nonmenzogna

Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.

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Il fascismo è la menzogna che si fa sistema. Un mondo alla rovescia, nel quale le parole non hanno più il loro significato comune, la ragione diventa un fastidioso peso di cui liberarsi, l’umanità un peccato. È il sistema che manda in Etiopia migliaia di soldati per massacrare un popolo inerme ed innocente, usando armi chimiche e compiendo infiniti crimini, atrocità, vigliaccherie. E che, conquistatala e proclamato l’Impero, parla di civiltà e di pace. “Impero di pace perché l’Italia vuole la pace per sé e per tutti e si decide alla guerra soltanto quando vi è forzata da imperiose, incoercibili necessità di vita. Impero di civiltà e di umanità per tutte le popolazioni dell’Etiopia”, dice Mussolini alle folle festanti il 9 maggio 1936. Civiltà e umanità per le popolazioni dell’Etiopia. Che è come parlare di amore ad una donna dopo averla violentata.

Chi è entrato in questo sistema da adulto è stato fortunato, pur nella tragedia storica: ha potuto conservare la memoria del mondo di prima, di quando il bianco era bianco e il nero era nero, e in qualche recesso interiore è rimasto libero dall’errore che lo circondava; se non è diventato convintamente fascista, naturalmente (e tanti lo sono stati). Quelli cui è andata peggio sono stati i bambini. Educati fin da piccoli al culto della violenza, al disprezzo dell’essere umano, alla retorica del nemico. Persone che spesso si sono portate il fascismo addosso per tutta la vita, per le quali la liberazione – quella interiore: la liberazione dalla violenza – non è mai avvenuta.

L’essenza del fascismo è la divisione dell’umano: di qui ci siamo noi, di là ci sono loro. Loro sono i nemici. Quelli che devono essere combattuti, distrutti o civilizzati. Noi siamo i migliori. Siamo la razza eletta, il popolo di Dio. E abbiamo diritto alla terra promessa. Costi quel che costi. Cercando di collocarsi agli antipodi del discorso fascista, negli anni Trenta un giovane filosofo, Aldo Capitini, afferma che ogni vita umana (si spinge a dire il vero fino ad affermare: ogni vita, anche non umana) ha un valore assoluto, e per questo non è possibile ucciderla. Se uccidi l’altro, se gli neghi umanità, distruggi te stesso. Distruggi la possibilità di vivere una vita più vera, più persuasa. Una vita umana. Neghi la tua stessa umanità. Ma non basta non uccidere. Si uccide anche con le parole. Alla nonuccisione affianca la nonmenzogna. Se menti all’altro, se lo inganni con le parole, stai scavando un solco tra te e lui, ed è in questo solco che crescono l’odio, il sospetto, la rabbia, la paura. “Nonmenzogna e nonuccisione attuano una unità dalla radice, un’unità concreta che non lascia nulla fuori di sé”, scriveva. 1

Ci sono eccezioni. Se mentire è l’unico modo per salvare la vita a qualcuno, allora anche la menzogna è un bene. Nascondere degli ebrei per sottrarli alla deportazione e quindi al campo di sterminio comportava una continua dissimulazione, e tuttavia era un bene. Come cercare l’unità con l’altro, in un mondo che è diviso? Come essere uniti al tempo stesso alla vittima e al carnefice? Bisogna stare con la vittima e contro il carnefice, anche a costo di mentire. Ma se il carnefice, colui che fa violenza, è uno che offende la sua stessa umanità, stare contro di lui vuol dire, al tempo stesso, stare con lui. Salvarlo dalla sua stessa disumanizzazione. Nel mondo difficile, complesso, oscuro in cui viviamo, la menzogna può essere uno degli strumenti della verità. Purché sia chiaro questo: che l’altro non è strumento, non è nemico. Anche quando va combattuto perché malato di fascismo.

  1. A. Capitini, Elementi di un’esperienza religiosa, in Id., Scritti filosofici e religiosi, a cura di Mario Martini, Protagon, Perugia 1994, p. 32