Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.
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Con una serie di esperimenti condotti alle isole Canarie durante la prima guerra mondiale, lo psicologo tedesco Wolfgang Köhler dimostrò che gli scimpanzé sono in grado di adoperare strumenti anche in modo piuttosto complesso. Chiuso in un capannone, lo scimpanzé Sultan riusciva a mettere una sull’altra alcune casse, vi saliva sopra e così raggiungeva una banana che era sospesa in alto. Ma ciò che era più interessante era il modo in cui vi riusciva. Dopo aver fatto diversi tentativi fallimentari, Sultan aveva una sorta di illuminazione. Capiva all’improvviso che le casse lì intorno potevano essere degli strumenti, e le usava. Questa illuminazione improvvisa ebbe da Köhler il nome di insight, ed è una delle caratteristiche dell’apprendimento umano. Quando ci troviamo di fronte ad un problema da risolvere, cerchiamo di usare le procedure e le strategie che conosciamo. Il più delle volte è sufficiente, ma qualche volta non basta. Ed allora restiamo perplessi. Finché giunge, appunto, una sorta di illuminazione improvvisa. E risolviamo in un attimo un problema che sembrava insolubile. Cosa è accaduto? Semplicemente siamo riusciti a vedere la situazione da un nuovo punto di vista. Abbiamo acquisito all’improvviso uno sguardo diverso.
Il buddhismo, abbiamo visto, è una questione di esercizio. La via è dura, la mente è costantemente indisciplinata, i desideri ci assalgono. Tutto brucia, e basta un momento di distrazione per essere sopraffatti dal dolore. Esercitarsi significa anche usare una logica raffinata, che consiste nell’analizzare le cose dividendole nei suoi elementi costitutivi (una analisi che ci fa scoprire che noi stessi non siamo sostanziali) e nelle sue cause. Non si tratta di fare teorie, ma di affrontare il dolore qui ed ora. E tuttavia questa analisi della realtà – della realtà che siamo e della realtà in cui siamo – conduce a conclusioni molto lontane dal senso comune, a cominciare, appunto, dalla affermazione della nostra insostanzialità. Sotto i colpi della logica, il mondo si sfalda. E si sfalda lo stesso Dharma: come potrebbe essere una cosa solida, in una realtà vuota? Al centro della ricerca c’è ora la differenza, la distanza, lo scarto tra la realtà ordinaria e la vera realtà, tra il mondo con le sue cose apparentemente solide e la trama evanescente della vacuità. Ma la vacuità, cui il pensiero giunge seguendo un procedimento logico ed analitico, è al di là della logica. È il mondo del paradosso, che manda in crisi tutti i nostri punti di vista, le teorie, le opinioni. Il buon senso. È in una realtà in cui siamo da sempre, occorre solo prenderne coscienza (ma si può davvero parlare ci coscienza?). All’improvviso, l’altrove è qui. Non è una conquista logica, è un evento. Come farlo accadere?
Un giorno un consigliere va in visita al monastero di Lin-Chi. Cosa fanno i monaci?, chiede. Studiano i sutra? No, risponde Lin-Chi. Non studiano i sutra. Meditano? No, non meditano. E allora che fanno? “Tutto ciò che faccio è renderli buddha e patriarchi”, risponde Lin-Chi.1 Il suo metodo di insegnamento è il rovesciamento di quello del Buddha. Nei sutra colpisce l’efficacia e anche la pazienza del Buddha nell’atto di insegnare. Torna più volte sui concetti, ha cura di essere chiaro e comprensibile, risponde alle domande. Prima di morire chiede un’ultima volta ai monaci se è tutto chiaro. Lin-Chi non insegna, propriamente. Non si cura della tradizione, della dottrina, dei sutra. Colpisce ed urla. Confonde, depista, sconvolge. Conduce in una dimensione nella quale logica, buon senso, consequenzialità sono strategie volgari verso le quali non bisogna avere nessuna pietà.
Nascxe così la pratica del koan, diffusa nel buddhismo zen della scuola rinzai. I koan sono brevi scambi di domanda e risposta apparentemente assurdi, che vanno meditati a lungo per sottrarsi alla logica corrente ed ottenere quella conversione improvvisa dello sguardo, quell’insight in cui consiste il risveglio. Nella più importante raccolta di koan, il Mumonkan, si legge che un monaco chiede a Ummon cos’è il Buddha. E Ummon risponde: “Sterco secco”.2