Antonio Vigilante, La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha, Tethis, Torino 2019.
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Alle origini del buddhismo c’è, come abbiamo visto, un atteggiamento pragmatico. Per affrontare la sofferenza non occorrono teorie, concezioni del mondo sistematiche o fedi complesse. Occorrono strumenti efficaci. Il Dharma si presenta appunto come uno strumento, un insieme di pratiche utili per superare la sofferenza. Ma è uno strumento che richiede anche una analisi non superficiale della realtà, soprattutto di quello che noi stessi siamo. Soffriamo perché ci consideriamo sostanziali, reali, permanenti, mentre in realtà siamo un processo temporaneo, un insieme di aggregati che solo per ignoranza consideriamo un ego sostanziale. Poiché è proprio l’ignoranza la causa della sofferenza (in primo luogo l’ignoranza che consiste nel dire io), le pratiche salutari sono anche pratiche di verità. Con il tempo il Dharma si configura sempre più come un discorso sulla realtà ultima, che è diversa da quella che appare alla persona comune, pur trattandosi di fatto della medesima realtà. Vi sono due verità: una comune, frutto dell’ignoranza, e una superiore, perfetta, propria di chi ha raggiunto il risveglio. Nella luce di questa seconda verità il mondo solido dell’esperienza quotidiana si apre alla vacuità.
Ma che relazione c’è tra queste due cose? Il Dharma come pratica per affrontare la sofferenza è la stessa cosa del Dharma come conoscenza liberatoria della verità ultima? Secondo Stephen Batchelor la dottrina delle due verità non si trova nei testi buddhisti più antichi, riconducibili al Buddha storico, e ha portato con il tempo il buddhismo a non distinguersi troppo da altre religioni che propongono un accesso mistico alla Realtà ultima. Si ripropone inoltre un dualismo, una scissione nella vita del praticante del Dharma, una divisione tra mondo spirituale e realtà mondana che è anch’essa estranea alle originarie finalità del Dharma.1
Batchelor è stato uno dei tanti giovani inquieti che negli anni Sessanta, dopo aver fatto qualche esperienza con l’LSD, sono partiti per l’oriente alla ricerca di una spiritualità che l’occidente materialista non sembrava in grado di offrire. A differenza della maggior parte degli altri, però, è andato fino in fondo: giunto a Dharamsala, residenza del Dalai Lama in esilio dal Tibet, vi è stato ordinato monaco, proseguendo poi gli studi in Corea del Sud per approfondire lo zen. Ma vi sono domande alle quali i suoi maestri non sono riusciti a dare una risposta soddisfacente. Il Dharma vuole essere razionale; ma come dimostrare razionalmente la rinascita? Come dimostrare il karma? Come può esserci rinascita se non c’è un’anima che sopravvive alla morte? Sono domande che abbiamo già incontrato. Le risposte, per Batchelor, non soddisfano realmente quella esigenza di razionalità che pure appartiene indubbiamente al Dharma. Attraversa un periodo di dubbio ed angoscia, fino a quando si convince che è possibile fare a meno sia del karma che della rinascita: “Poi, durante una notte insonne, compresi che anche se non ci fosse vita dopo la morte, anche se non ci fosse una legge morale del karma a governare il mio destino, il mio impegno verso la pratica del Dharma non sarebbe cambiato di una virgola”.2 Quella notte insonne è l’inizio del buddhismo secolare.